L’EDITORIALE – Ottobre 2022. Si, sono quasi passati tre anni dal nostro primo numero insieme.
Guardiamo con gioia a questa Redazione che partita distante e digitalizzata, è rimasta unita e performante.
In parallelo alla tematica de l’Apprendimento di settembre, vorrei affrontare con voi un concetto che non è sempre ben visto. Appena se ne parla genera fra i contesti e i valori personali una sorta di stordimento:
la Cultura.
La Cultura, si, non che chi vi stia scrivendo sia un erudito, ma direi un curioso appassionato del genere
umano, in fondo come ognuno di noi, noi, che presi dalla passione con domande e risposte, siamo come
tanti piccoli ricercatori di quello che ci attira. Andiamo subito al focus del termine.
Cultura (derivato di cultus) un rimando diretto del verbo coltivare.
La coltivazione indica un atto che richiama alla figura del coltivatore, colui che coltiva la terra, colui che
muove una base.
In questi ultimi tempi, ho sentito un’altra definizione di uno scienziato che ha provato a esplicare il
concetto di Cultura:
-“ La cultura è quello che serve fare … per essere … ”-,
mi colpì come queste parole non stessero nell’immaginario comune di chi pensa cosa sia uno scenziato:
una persona che ha la scienza nella sua indole.
Ma la scienza non è certezza è ricerca, una ricerca che è figlia di una curiosità, necessità e che parte da
alcune teorie passate.
Prendendo solo queste due definizioni, proviamo a metterne una terza:
La cultura è l’insieme delle tradizioni e delle credenze, in un determinato luogo per un determinato tempo, prodotte, lasciate e (forse) perpetuate, da qualcun altro.
Unendo i concetti:
1) Cultura come coltivazione;
2) Cultura come fare ricerca ed esperimenti;
3) Cultura come antiche credenze tramandate;
salta agli occhi un senso di ricerca spinto dalle curiosità umane, che provando a ricostruire insieme nel
presente con fatti e dati, possano richiamare ad attività animistiche o spirituali di un tempo che non c’è più.
È un concetto amplissimo che richiama alle tradizioni, le definizioni e i linguaggi di popoli che hanno lasciato un’eredità immensa. Ma non è tutto qui, e se fosse tutto questo, preso per buono sarebbe troppo per una singola vita.
Siamo in un tempo dove gli studenti e i ricercatori, o semplicemente gli amatori, o altre autorità spirituali,
dovrebbero sapere tanto in pochissimo tempo. Il tempo della loro vita.
Alla fine siamo persone di carne e sangue e il dedicarsi completamente alla cultura, in tutte le sue
sfumature, appare impossibile.
L’atto di semplificazione per questo grande dilemma, consiste nell’accettare di non sapere tutto.
Ebbene si, credo che ci si possa solo concentrare per perpetuare le scelte delle nostre anime spinte dallo
spirito della volontà personale … e questo significa coltivare noi stessi.
Ricordate la parabola dei talenti dove a tre uomini vengono date delle virtù? C’è più di una versione nella
storia delle religioni, ma alla fine la cosa migliore sembra essere sì la quantità di quello che creiamo con ciò che ci viene donato, ma anche la capacità di come amministrarlo con quel poco o tanto che abbiamo già di nostro.
Ancora, che cosa saremmo senza le esperienze che forgiano le linee guida delle nostre scelte soppesate da processi mentali? Ribadisco il concetto con molto piacere: ogni persona è un universo a sé.
Nessuno è uguale a qualcun altro. È affascinante pensare a quante cose si possono creare, e le sensazioni
da poter provare, se si comprendesse che tutti avremmo qualcosa da dare in mille e più modi diversi.
Non rappresenterebbe una ricchezza culturale questo?
Ma torniamo al concetto del fare per essere. Nell’immaginario sociale del nostro paese è comune credenza ritenere un laureato una persona di cultura. Fin dagli anni sessanta i progenitori della famiglie hanno operato affinché i figli si elevassero socialmente, per questo molti di loro migrarono dal sud Italia verso il Nord. Così, come molti di noi nella storia, siamo andati alla ricerca di cultura, intesa come conoscenza, ma pian piano abbiamo dimenticato le tradizioni di un tempo. È del tutto normale concentrarsi su un percorso ma qui potete notare quelle parole che generalmente sono considerate come espressione di una cultura: tradizioni, studi, credenze.
Le tradizioni sono quelle di cui siamo figli, anche se non lo sappiamo; gli studi sono quelli che una persona apprende; le credenze sono quello per cui ci adoperiamo … le invisibili spinte del nostro essere.
Ad oggi abbiamo assistito a una velocizzazione della cultura nelle Università, questo è per una ragione
politica che non affronteremo qui: il neoliberismo che struttura un mercato.
Possiamo notare come per esempio un astronomo che conosce il sistema solare, possa dare perfino nome a una stella, e magari ritrattare teorie dello spazio fino a parlare dei buchi neri.
Da un’altra parte magari abbiamo un contadino che conosce i sistemi lunari e oltre a nutrire in maniera
biologica altre persone, può incrociare nuovi tipi di piante o reinventare altri tipi di coltivazione sostenibili.
L’astronomo nel suo laboratorio a mirar le stelle e l’agronomo fra acqua e terra che pensa alla luna.
Non credo che uno sia peggiore o migliore, forse hanno solo scelto o seguito quel che avevano dentro, ma il bello viene quando interagiscono. Si, perché per quanto possono sembrare differenti, osservandosi
vedranno l’altra parte della vita. Hanno fatto (un atto pratico) per essere (figura professionale).
E qui mi piace pensare al medico che ti visita guardando i sintomi, e altre arti mediche che dal colore e
dimensione degli iridi, o altre parti del corpo, vedono se siamo felici e in salute.
La cultura, guardando alle tradizioni, tiene di conto delle credenze e conoscenze ma è quando accettiamo
l’idea di non sapere tutto e di stare costantemente in un continuo processo di apprendimento che ogni
versione umana potrà esprimersi.
Serve umiltà per accettare questo, il coraggio delle proprie scelte e forse anche un pizzico di curiosità come spinta del genio che aleggia nella testa di tutti noi.
Coltiviamoci, coltiviamoci come l’unico atto per respirare e districarsi nel nostro strano vivere, che come
hanno dimostrato questi ultimi due anni serve sempre, coltiviamoci intimamente, collettivamente a medio
e lungo termine, perché la Cultura alla fine: “ … rende liberi”.
Che possiate essere agronomi e astronomi, sentire la radice di un fiore e vedere il primo raggio di sole,
perché è vero che le albe portano con loro i tramonti, ma è come si vive ogni giorno che determina la
qualità della vita … e di conseguenza la cultura di un popolo.
Paolo Cavaleri