di Andrea Sardi
Mañana zarpa un barco
Il vuoto. Il vuoto spaventa. Pur di riempire un vuoto si parla, si scrive, ci si agita. La vita che abbiamo conosciuto è una vita frenetica che non ha mai ammesso il vuoto e ancora adesso, pur sottostando alle limitazioni che dobbiamo seguire, sembra che il tempo non basti mai per fare tutto ciò che dobbiamo fare. Eppure il vuoto si ripresenta, inesorabile, accompagnato da ansia e da incertezza, perché è ancora tanto quello che, nonostante i nostri sforzi, non riusciamo a governare. E in quel vuoto, si manifesta un malessere, un’inquietudine profonda. Si arriva a sentirci spersi, soli.
Sto ascoltando un tango, “No te apures Carablanca” cantato da Julio Sousa
Un uomo, rientra con il suo carro, trainato da un cavallo dal muso bianco (Carablanca), al quale dice: “Non affrettarti, poiché non c’è nessuno che mi aspetti, nessuno che si preoccupi per un mio ritardo. Per me è sempre presto, per rientrare. Non ti affrettare, poiché all’arrivo sarò solo e la notte va cadendo e nelle sue ombre i ricordi dolgono ancora di più”. [Tango 1942.Musica: Roberto Garza. Testo: Carlos Bahr].
Qualcuno a volte mi chiede perché ascolti questa “musica triste”. La mia risposta è che trovo, in questi autori, la sincerità nell’ammettere emozioni e sentimenti profondi, piacevoli o meno che siano.
Sono sensazioni ed emozioni alcuni dei quali sfuggiamo, e di cui qualcuno arriva persino a vergognarsi: paura, solitudine, rabbia, rancore. Per la cultura corrente sono buone le parole positive mentre le altre sono da evitare. Non ci si rende conto, credo, che lottando contro le emozioni negative le si rinforzino, le si alimentino, mentre osservandole, accogliendole, alla fine accogliamo una parte di noi, e quella parte dolente si placa, si rasserena.
Dice ancora questo personaggio: “Mi si stringe il cuore perché mi sento perso, mi tenta l’illusione che offre la cantina con il suo bicchiere di oblio, bere sulla mia pena, fiamma che brucia, male che non risolve, dolore che diviene ancor più grande. Vorrei dimenticarla e bevuta dopo bevuta la ricordo sempre di più”.
Che senso ha cercare di dimenticare, fuggire e stordirsi. Nessuno.
Se non l’alcool, si spera in altre distrazioni, a volte. A volte si spera nel domani, come se il domani portasse con se ancora non sappiamo cosa, ma osiamo sperare la soluzione a ciò che adesso non ci piace. Magari un domani in un altrove, dove ci saranno altre persone, altre possibilità.
Mi viene in mente “Mañana zarpa un barco” [Tango 1942. Musica: Lucio Demare. Testo: Homero Manzi].
“Solo qui, Riachuelo (1), nel tuo porto, gioisce il cuore, qui dove vibra la voce del bandoneón. Balliamo fino all’eco dell’ultima nota, domani parte una nave che potrebbe non tornare…”. [(1) Fiume che attraversa Buenos Aires].
Un invito a restare dove si è, per vivere quello che nel presente ci è dato con chi ci è vicino. Con chi amiamo. Con la persona con cui affettuosamente e consapevolmente condividiamo la nostra solitudine esistenziale.
“Come si balla bene sulla terraferma. Domani all’alba partiremo, ma la notte è lunga e non voglio che tu sia triste, ragazza, andiamo… Pronuncerò il tuo nome, quando sarò lontano, avrò un ricordo da raccontare al mare. La notte è lunga e non voglio che tu sia triste”.
E poi, alla fine, c’è una risposta per chi mi chiede perché ascolti questa “musica triste”.
“Il Tango è un porto amico dove s’ancora l’illusione. Al ritmo della sua danza si culla l’emozione”.