I filosofi dell’ipseità e del biodesiderio
(Nietzsche – Heidegger – Lacan)
di Apostolos Apostolou
ATENE – Il nuovo pensiero filosofico è appunto ciò che ci rimane dopo l’eclissi delle grandi narrazioni. Uno strumento ermeneutico per decifrare ciò che al pensiero “dialettico e forte” era sfuggito e che costituisce il terreno duro e sofferto delle nostre esperienze quotidiane. Però il nuovo pensiero è intrappolato nel tunnel che si chiama “nichilismo realizzato” o “tecnicistico – nichilistica dell’essere”. Che cosa è il “nichilismo realizzato”? E’ la nuova ermeneutica dell’Altro e insieme l’ermeneutica del godimento (jouissans) e del desiderio (désir)
Che cosa è l’«Altro»? L’«Altro» diventa la locomotiva della filosofia contemporanea. La prima filologia dell’«Altro» ha cominciato da Sartre, quando ha parlato di “sguardo d’altri”. L’«Altro» è la sostanza e insieme infermo dirà Sartre (“L’inferno sono gli altri”.La frase è importata nell’opera “L’essere e il nulla” del 1943). Mentre Levinas alla domanda “chi è l’«Altro»”? risponde che non possiamo saperlo, perché l’ «Altro» è sempre al di là di ogni identificazione. E come teologo ebreo Levinas dirà che l’«Altro» è allora il “fuori” indispensabile a ogni agire etico. E poi in compagnia viene Lacan e gira intorno alla questione dell’«Altro» e alla fragilità dell’io o della conoscenza dicendo che forse l’ «Altro» è l’ inconscio ma non è sempre cosi. Da qui abbiamo una filologia che si chiama il rischio dell’alterità. E’ una filologia epocale che ha cominciato con la differenza di Heidegger quando lui ha parlato di “differenza ontologica” ma un poco prima la nozione era stata a suo modo teorizzata da Bergson. Nella filosofia abbiamo anche l’«Altro» come empatia. Da Kant fino a Husserl la filosofia occidentale compare la preziosa esperienza presenziale dell’ «Altro», la testimonianza palpitante della presenza vivente del corpo “simile” dell’ altro associato al nostro. Questa con – passività o con – attività Husserl chiama empatia, non all’interno della medesima temporalità autointuita, ma nella reciproca presentificazione. Cosi la filosofia occidentale parla di virtù dell’empatia che fondata nella percezione fisica del corpo altrui fondo l’io – vita dello stesso «Altro». Cosi l’«Altro» secondo la filosofia della fenomenologia è memoria – presentificazione e insieme entro – sensorio o un confluire di termini presentati e quindi consentiti in via sempre di rilevamento dall’insieme psico – biologico ed antropologico da scandagliare e per spiacere nella prospettica del continuo o “insiematico”. La mitologizzazione dell’«Altro» o di empatia secondo la fenomenologia tedesca è una tipica espressione di pensiero religioso.
Qui esiste un problema, l’«Altro» in un punto di contraddizione diventa lo Stesso. L’«Altro» come sguardo, l’«Altro» come specchio, l’ «Altro» come opacità (in contraddizione), tutto finito. E questo perché la trasparenza tra «Altro» e lo «Stesso» è la minaccia assoluta. Non c è più un «Altro» come specchio, come superficie riflettente, cosi il segreto dell’interfaccia è che l’«Altro» vi risulta virtualmente lo «Stesso». Che cosa non può capire il pensiero occidentale, questo che troviamo nel Platone (Lettera VII, e Lettera VIII), l’«Altro» non è mai naturalmente altro, occorre renderlo altro seducendolo, rendendolo estraneo a se stesso (Alcibiade e Socrate. L’«Altro» è forse soltanto la conseguenza di questo dubbio quanto al nostro desiderio) in altre parole l’«Altro» esiste l’ho incontrato, l’«Altro» esiste l’ho seguito. Vediamo l’antitesi tra filosofia greca e filosofia occidentale illuministica. La filosofia occidentale organizza un antidoto alla cultura filosofica greca classica quando la filosofia greca classica, vedeva l’uomo come entità sociale, storica, e non come entità individualistica.
Basta solo vedere che cosa scriveva Beniamin Constant “Lo scopo degli antichi era la divisione del potere sociale fra tutti i cittadini d’una stessa patria. Questo essi chiamavano libertà. Lo scopo dei moderni è la sicurezza del benessere privato: ed essi chiamano libertà che accordano le istituzioni a questo benessere”. [2] In altre parole i moderni si occupano con il benessere e con “se stesso”. Cosi la cura della cultura occidentale diventa il rispetto di sé che ha la stessa struttura complessa della stima della stima di sé. Il rispetto di sé è la stima di sé sotto il regime della legge morale. Il sé, bisogna rammentarlo non è l’io. Cosi non abbiamo il sé ma abbiamo l’ipseità [1] (ipséité) del sé. L’ipseità del sé non implica, forse, una forma di permanenza, né tempo che non sia riducile alla determinazione di un sostrato, sia pur nel senso relazione assegnato da Kant alla categoria della sostanza in breve una forma di permanenza nel tempo che non sia semplicemente lo schema della categoria di sostanza. Una forma di permanenza nel tempo che vuole dare una risposta alla questione chi ? ad ogni questione che cosa? In altre parole è una forma di permanenza nel tempo, come una risposta. Cosi dall’illuminismo e poi, l’uomo esiste sul mondo d’ipseità. Cioè ha un carattere grammaticale del se – medesimo / stesso. Esponendo cosi la posta in gioco psicologico e non ontologico, dell’ipseità aggiungiamo una dimensione nuova alla psicologia che la nostra ermeneutica del sé richiama sulla scia. E da qui comincia l’analisi del sé. Un’analisi del sé e dei complessi del sé, come pulsioni d’impossessanti, investimenti, disinvestimenti, coppie d’opposti, tracce mnemoniche, proiezioni, introiezioni ecc. Tutti i composti cercano una spiegazione di “chi”, o di “che cosa”, cercano una spiegazione di “come”. E qui si trova l’ipseità.
Il negromantico e «sabbataista» Lacan, come neosofista gioca con le parole quando esamina l’ipseità. Trova la contro-iniziazione delle parole e là organizza il mito dell’interiorità come anti-filosofia. Lacan con un dedaleo imbroglio parla di microfisica del godimento. Il godimento (jouissans) come usufrutto e il godimento come surplus. Nello stesso tempo parla di metafisica del desiderio (désir). Il desiderio secondo Lacan è il desiderio dell’altro in molti sensi, perché ci ritorna restituito dalla risposta, perché ci proiettiamo nell’altro perché ci rappresentiamo l’«Altro», perché inseguiamo come Narciso, quell’altro che è la nostra immagine. La metafisica di Lacan è la sintesi tra desiderio e rappresentazione. Qualche volte Lacan si presenta come teologo postmoderno.
E’ fatto che il pensiero occidentale si trova in crisi. Non è crisi della razionalità ma è una crisi del potere di una certa ragione che comincia dall’illuminismo come sistema politico intellettuale e funziona per anni come destino di necessità. Nel destino della necessità ancora che l’irrazionale è sempre in rapporto correlativo con la vera razionalità. Per esempio, Situzionisti, il Lettrismo, Dadaismo, Surrealismo, e altri movimenti avanguardisti, con una polemica anti idealistica sono “il rovescio della medaglia”.
Guillaume Faye cercando un pensiero radicale e rivoluzionario scrive: «Il pensiero radicale e rivoluzionario? Oggi deve esserlo, perche la nostra civiltà e giunta alla fine di un ciclo e non alla soglia di un nuovo progresso; e perche attualmente non esiste più alcuna scuola di pensiero che osi proclamarsi rivoluzionaria dopo il fallimento finale del tentativo comunista. Pertanto e solo avendo di mira nuovi concetti di civiltà che si sarà davvero portatori di storicità e di autenticità. Soltanto dei concetti radicalmente nuovi, miranti a un’altra civiltà, sono portatori di storicità. Perché un pensiero radicale? Perche esso va proprio alla radice delle cose, vale a dire “fino all’osso”: esso rimette in discussione la concezione del mondo sostanziale di questa civiltà, l’egualitarismo — il quale, utopico e ostinato, grazie alle sue contraddizioni interne sta portando l’umanità alla barbarie e all’orrore ecologico-economico.
Per agire sulla storia, e necessario creare delle tempeste ideologiche attaccando, come vide benissimo Nietzsche, i valori, fondamento e ossatura del sistema. Oggi non lo fa più nessuno: di qui il fatto che, per la prima volta, e la sfera economica (televisione, media, video, cinema, industria dello spettacolo e dell’intrattenimento) che detiene il monopolio della ri-produzione dei valori. Il che porta evidentemente a un’ideologia egemonica senza concetti ne progetti in grado di immaginare una rottura, ma invece fondata su dogmi e anatemi. Oggi, dunque, soltanto un pensiero radicale permetterebbe a delle minoranze intellettuali di creare un movimento, di scuotere il mammut, di squassare tramite elettrochoc (o “ideochoc”) la società e l’ordine del mondo. Ma questo pensiero deve imperativamente sottrarsi al dogmatismo, e al contrario coltivare il riassetto permanente (“la rivoluzione nella rivoluzione”, unica intuizione maoista giusta); allo stesso modo esso deve proteggere la sua radicalità dalla tentazione nevrotica delle idee fisse, dai fantasmi onirici, dalle utopie ipnotiche, dalle nostalgie estremiste o dalle ossessioni deliranti, rischi inerenti a ogni prospettiva ideologica». [3]
Oggi la miseria intellettuale dell’Occidente vive con le idee che esistevano nella prima metà del XIX secolo. L’Occidente è piombato in uno stato confusione. Un Occidente spersonalizzato e privo d’identità unito da nient’altro che una logica di mercato. Viviamo l’assenza di un’elite intellettuale europea in grado di formulare un pensiero adeguato. E insieme viviamo una sorta di deroga generale in cui il valore, il potere, il sapere, il liberare, sono già abbandonati, e lasciati a una seconda istanza. Guillaume Faye descrive una comprensione adeguata del pensiero filosofico degli ultimi decenni. Scrive: «Le società europee in crisi di oggi sono pronte a essere trapassate da pensieri radicali determinati, muniti da un progetto di valori rivoluzionari e portatori di una contestazione completa ma pragmatica e non utopica dell’attuale civiltà mondiale. Un pensiero radicale, e ideologicamente efficace nel mondo tragico che si prepara, potrebbe unire le qualità del classicismo cartesiano (principi di ragione e di possibilità effettiva, di esame permanente e di volontarismo critico) e del romanticismo (pensiero folgorante richiamantesi all’emozione e all’estetica; audacia di prospettive). Allo scopo di coniugare in una coincidentia oppositorum le qualità della filosofia idealista del “si” e della filosofia critica del “no”. Come seppero farlo Marx e Nietzsche nel loro metodo dell’”ermeneutica del sospetto” (imputazione dei concetti dominanti) e del “rovesciamento positivo dei valori”. Un simile pensiero che unisce audacia e pragmatismo, intuizione prospettica e realismo osservatore, creazionismo estetico e volontà di potenza storica, deve essere “un pensiero volontarista concreto creatore di ordine”….Il mio maestro, il defunto Giorgio Locchi, aveva individuato l’egualitarismo come il centro nodale, l’asse motore, etico e pratico a un tempo, della modernità occidentale in pieno fallimento. Spinto dai suoi lavori, io stesso ne avevo tracciato una importante descrizione critica e storica, in seno al G.R.E.C.E., fra il 1973 e il 1985. In quel contesto avevo proposto per l’avvenire il concetto di anti-egualitarismo. Ma questo termine era ancora insufficiente. Non ci si definisce mai solamente “contro”. Un concetto agente deve essere affermativo e portare senso. Quale sarebbe il contenuto, il principio attivo di questo antiegualitarismo virtuale? Che cosa sarebbe, concretamente, l’antiegualitarismo? Interrogativo all’epoca rimasto senza risposta. Eppure da una risposta chiara può nascere una mobilitazione.
Del pari, ispirato dai lavori di Lefevre, Lyotard, Debord, Derrida e Foucault, e anche dai testi di Porzamparc, Nouvel o Paul Virilio, avevo cercato di mostrare la necessità di una post-modernità. Ma anche qui, il prefisso latino “post”, proprio come quello greco di “anti”, non e in grado di definire il contenuto. Non basta dire che l’egualitarismo e la modernità (una teoria e una pratica) non sono adeguati. Bisogna ancora immaginare, definire e proporre ciò che e adeguato. La critica di un concetto ha valore solo attraverso l’apposizione di un nuovo concetto affermativo…». [4]
Il pensiero filosofico occidentale esiste attraverso la ninna nanna dello stesso. Per esempio il marxismo plus – valere può essere connesso come accennato in precedenza con il plus –godere (objet petit) di Lacan o di super – ero di Freud. I rinnovatori e insieme dittatori del pensiero occidentale erano, Nietzsche, Freud, e Heidegger. Nietzsche, fonda il superato come potenza assoluta. “ L’uomo è qualcosa che deve essere superato” scrive nella prefazione a Cosi parlò Zarathustra. E continua: “ Che cos’ è per l’uomo la scimmia? Un ghigno, o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’ uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna […] E ancora continua: “L’ uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo[…] La grandezza dell’ uomo è di essere un ponte e non uno scopo”. Questo “plus” esiste nel pensiero di Nietzsche. Dirà con importanza: “L’uomo sembra una pluralità di essere”. Anche il concetto di “volontà di potenza” (come plus) è uno dei concetti centrali del pensiero di Nietzsche e porta a compimento la metafisica occidentale. Il nietzscheismo è la grande chiacchiera della nostra epoca. Un’altra fandonia di Nietzsche, è l’eterno ritorno. L’eterno ritorno dell’eguale è la ripetizione eterna di tutte le realtà e gli eventi del mondo. L’uomo avverte la prospettiva dell’eterno ripetersi del tutto come un’“eterna sanzione”, un “peso”. L’eterno ritorno è come il serpente “ouroboros” che si morde la coda. La mitologia dell’eterno ritorno come scrive Mircea Eliade nella sua opera “ il mito dell’eterno ritorno” 1949 afferma che le società tradizionali si rivoltavano contro il tempo storico lineare segnato da un inizio e da una fine per archetipi al tempo mitico delle origini degli archetipi e della ripetizione. Gilles Deleuze, voleva abbellire l’eterno ritorno di Nietzsche e sosteneva: “L’eterno ritorno non è una teoria delle qualità o delle loro trasformazioni circolari, bensì degli eventi puri e della loro condensazione lineare o superficiale… L’eterno ritorno, il tornare esprime l’essere comune di tutte le metamorfosi, la misura l’essere comune di tutto che è estremo, di tutti i gradi di potenza in quanto realizzati…L’eterno ritorno si riferisce a un mono di differenze implicatele une nelle altre a un mondo complicato, senza identità, propriamente caotico”. [5] Giustificazioni degli intellettuali di nietzscheismo, mentre Einstein tornando alla fissità astratta di Parmenide e alle assurdità delle ipotesi di Zenone, sosteneva che il tempo in ultima istanza, non esista, in quanto esiste solo la percezione soggettiva che ne abbiamo. Freud seguendo Nietzsche, nell’articolo “Ricordare, ripetere, rielaborare” del 1914, Freud riprende il tema dell’“eterno ritorno”, della coazione a ripetere vedendola alla luce del fenomeno traslativo. Anche quando descrive il concetto di coazione – senso clinico – nello scritto “il perturbante” 1919 ma anche nella sua opera “Al di là del principio del piacere” 1920 Freud parla di “il perpetuo ritorno dell’uguale” e questo per indicare l’identificazione di un soggetto con un’altra persona, il sosia, fino al punto di un “raddoppiamento” dell’ “Io”, di una permuta dell’ “Io”.
Un altro filosofo dell’ipseità, era Martin Heidegger, fra ipseità e Dasein è operata in Essere e Tempo. L’opera di M. Heidegger era che la fiducia e la fidanza di esistere sul modo dell’ ipseità. Dal momento che non si e’ risposto alla questione chi? Se non in virtù della deviazione attraverso la questione che cosa? e la questione perché ? l’ essere del mondo è il correlato obbligatorio dell’ essere del sé. Non c è mondo senza un sé che vi si trova e vi agisce non c’è sé senza un mondo in qualche modo praticabile. M. Heidegger ha capito che la filosofia di esistenzialismo è una filosofia dell’ ipseità, cosi ha parlato di “Verwindung”, è lo sforzo più radicale di pensare l’ essere in termini di una “presa di congedo”. come spiega Gianni Vattimo, che è anche sempre una “presa di congedo” , perché né lo incontra come struttura stabile, né lo regista e accetta come necessità logica di un processo. M. Heidegger quando ha visto il vincolo cieco della filosofia dell’esistenzialismo come filosofia dell’ipseità, parla di rovesciamento del pensiero occidentale. “La mia convinzione è che solo a partire dallo stesso luogo del mondo nel quale è sorto il moderno mondo tecnico, possa prepararsi anche un rovesciamento (Umkehr), e che esso non può aver luogo tramite l’assunzione del buddhismo Zen o di altre esperienze orientali del mondo”(M. Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare, Milano, Guanda).
Finalmente l’ipseità è questa mutua implicanza fra la questione che cosa? e la questione perché? che abbia contribuito a obliterare la questione chi? Cosi dire sé non significa dire io. L’io si pone, o possiamo dire anche è deposto. Il sé implicato come riflessivo in quelle operazioni la cui analisi precede il ritorno verso esso stesso. In pensiero greco antico l’individuo ( come l’ io) è “atopos” senza un posto sicuro nel discorso, perché esiste solo l’insieme. Sartre nel saggio “I comunisti e la pace” pubblicato su Tempi Moderni fra il 1952 e il 1954 scrive che l’ individuo è ormai inteso come entità condizionata. Oggi l’ipseità con la liberazione della pluralità delle interpretazioni esprime il positivo e insieme tolleranza. Il filosofo Byung – Chul Han scrive: «La società del positivo si congeda sia dalla dialettica che dall’ermeneutica. La dialettica si fonda sulla negatività, infatti lo “spirito” hegeliano non volta le spalle al negativo, ma lo sopporta e si trattiene in esso. La negatività alimenta la “vita dello spirito”. L’Altro nel Medesimo, che produce una tensione negativa, mantiene vivo lo spirito. Per Hegel, lo spirito è “potenza” soltanto quando “guarda in faccia il negativo e soggiorna presso di esso”. Questo soggiornare è il “potere magico, che converte il negativo nell’essere”. Chi, invece, si aggira soltanto nel positivo, è privo di spirito. Lo spirito è lento, perché soggiorna presso il negativo e lo adatta a sé. Il sistema della trasparenza abolisce ogni negatività per rendersi più veloce. Il soggiornare nel negativo abdica alla corsa nel positivo […] La società del positivo non tollera neppure alcun sentimento negativo. Si disimpara, così, a rapportarsi a sofferenza e dolore, a dar loro una forma. Per Nietzsche, l’anima umana deve la sua profondità, la sua grandezza e la sua forza proprio al soggiornare presso il negativo. Anche lo spirito umano è una nascita dolorosa […] La società del positivo consiste nell’organizzare in modo completamente nuovo l’anima umana. Nel corso della sua positivizzazione, anche l’amore si riduce a un accordo tra sentimenti piacevoli e stati di eccitazione privi di complessità e di conseguenze. così Alain Badiou, nell’Elogio dell’amore, ricorda gli slogan del sito d’incontri per single Meetic: “Si può essere innamorati, senza innamorarsi! (sans tomber amoureux)”. Oppure: “È facilissimo essere innamo-rati, senza soffrire!”. L’amore è addomesticato e positivizzato come forma di consumo e di comfort. Ogni ferita dev’essere evitata. Sofferenza e passione sono figure della negatività. Lasciano il posto, da un lato, al piacere privo di negatività; dall’altro, vengono rimpiazzate da disturbi psichici come l’esaurimento, la stanchezza e la depressione, che vanno addebitati all’eccesso di positività […] Il giudizio comune della società del positivo dice “mi piace”. È indicativo che Facebook si sia rifiutato, conseguentemente, di introdurre un pulsante per il “dislike”. La società positiva evita ogni forma di negatività, poiché provocherebbe l’arresto della comunicazione. Il suo valore si misura unicamente dalla quantità e dalla velocità dello scambio d’infor-mazioni. La massa di comunicazione ne incrementa anche il valore economico. I giudizi negativi limitano la comunicazione. L’informazione in rete segue più velocemente il “like” che il “dislike”. Soprattutto, la negatività del rifiuto non può essere valorizzata economicamente». [6]
Jean – Luc Nancy anni fa con il libro “Une pensée finie”, parla di temi della finitudine e di esistenza. Come la fine del senso o meglio delle varie forme di trascendenza del senso che hanno segnato la nostra storia. Dicendo che in oggi occorre un pensiero che comprenda non soltanto la finitudine nostra ma anche quella dell’essere. Ma queste domande di Jean – Luc Nancy, sono domande dell’Illuminismo. L’Illuminismo è, in pratica, come disse Immanuel Kant , “ L’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza la guida di un altro ”. L’Illuminismo fu anche lo sforzo di sottoporre ogni realtà al “tribune” della ragione per individuare ciò può giovare alla società. Cosi l’ipseità dell’ Illuminismo vede le cose nell’ immanenza senza immediatezza, le cose non divengono oggetto di una rappresentazione per un soggetto né suscettibili di una comparabilità Gli aforismi come: Il linguaggio si pone al di là delle storia. Non esiste la pluralità ma una fallacia che lascia tra le sue maglie, parlare la verità. L’idealizzazione del negativo. Non parliamo, ma siamo parlati dall’Altro e dalla verità. Il mondo è solo un segno. L’inconscio non è la verità perduta non è altrove, è là dove esso si mostra. Ogni teoria è falsa, perché “nulla viene da nulla, niente è effetto di una causa”. Tutti sono segnali, slogan, dell’epoca post – illuminista e contemporanea, dell’ipseità sconfitta – dall’Illuminismo fino a oggi – un’epoca che non ha capito che ogni forma positiva si adatta perfettamente alla sua forma negativa, e anche non conosce la forma reversibile. Ogni struttura si adatta e assorbe l’inversione o la sovversione in prima fase e in seconda fase con la reversione dei suoi termini, e questa forma reversibile è quella della seduzione e insieme è il destino.
Gli antipodi dell’ipseità sconfitta, si trova il biodesiderio (biodésir) come “durata” interiore e come un essere che vive, che si sviluppa e che di conseguenza cambia continuamente. Questo significa che il biodesiderio non è la giustapposizione di stati e istanti diversi e separati, ma è un fluire continuo dove il passato si proietta nel presente e si compenetra a esso. Anche il biodesiderio (biodésir), è il grande scommesso, perché la durata in cui si sviluppa è una durata i cui momenti si compenetrano come un passaggio di un nuovo realismo. Il biodesiderio (biodésir) è la volontà di “durata” che configura la nostra vita come una corrente continua ininterrotta, un processo i cui momenti si susseguono e, insieme, durano nella simultaneità stabilita dalla memoria che prolunga il primo nel poi, impedisce all’ uno e all’ altro di essere mere istantaneità. La durata (del biodesiderio), diviene cosi sviluppo progressivo e creazione del nuovo, e da noi stessi, in tal senso si oppone al tempo qual è misurato dalla scienza e da noi stessi, in relazione ai compiti della vita pratica. La durata (del biodesiderio) è presenza attuale che assorbe in sé tutto il passato e comprende il progresso dell’avvenire, garantendo cosi la continuità e il progresso della vita psichica. Essendo un continuo crescere su sé stessa, la durata del biodesiderio, è il continuo realizzarsi di qualcosa di nuovo e di imprevedibile, e quindi è creazione continua, continuo realizzarsi e affacciarsi di ciò che non esisteva e che appunto per questo è nuovo e imprevedibile. E ancora possiamo dire che il biodesiderio è lo splendore della splendida trasparenza e insieme l’assenza che si era trasformata in forma pura, è l’impenetrabile nudità del vivere. Esistere significa biodesiderio (biodésir), cioè durata e auto creazione. Metafora, simbolo, creatività, parole, giochi, ignoranza, conoscenza, ecc, nelle crepe del biodesiderio che scalpellano una proiezione della durata nello spazio necessaria ai compiti della vita pratica che scivolavano sul telaio del vissuto. Ritornare all’antropocentrismo perché con l’Illuminismo la civiltà occidentale ha passato verso al dispotismo dell’ antropocrazia con una burocrazia tecno-economica e con uno stato stazionario di massimo efficienza. L’antropocrazia non è solo un progetto sociale corrispondente alle esigenze dell’uomo, ma anche l’usurpazione legittima e legale della verità. Mentre antropocentrismo è la sensoriale e fisica installazione dell’uomo al centro delle cose.
Note:
[1] L’ipseità. In francese (L’ipseità caractère fondamental de l’être, conscient d’être lui-même)
[2] Félicité Robert de Lamennais. De l’esclavage moderne. Ed. Le passager clandestin, p, 36.
[3] Giulliam Faye. Archeofuturismo. Guillaumefayearchive.
[5] Gilles Deleuze. Nietzsche. Ed. Puf, p, 45.
[6] Byung – Chul Han. La società della trasparenza. Ed. Figure nottempo, p, 20
[7] Byung – Chul Han. Lo stesso, p, 21-22.
Apostolos Apostolou – Docente di filosofia.