L’APPARTENENZA come risultante finale della fiducia e responsabilità verso la comunità

Carissimi redattori e amati lettori

L’EDITORIALE – Il piacere di coltivare la propria diversità è un godimento talmente intimo e personale che, quando collegato al concetto della libertà, possiamo sentirci realmente sereni di condividere e comunicare i nostri pensieri. Ci sono dei comportamenti da adottare sempre per educazione, gentilezza e buon senso, questo perché vale sempre, anche quando non vogliamo, il concetto di interdipendenza umano: io come individuo vivo, anche, per riflesso della vita altrui.

Ognuno è libero di confessare a sé stesso se agiamo per reazione a un evento, oppure per un bene superiore, un’idea, un sogno. Ebbene, qui si apre ciò che si distingue fra istinto, che concerne l’orgoglio, la rivendicazione del proprio sé, l’affermazione di uno status, e il bene comune, visto come un qualcosa che ci sarà anche dopo la nostra morte.

Senza andare a condannare chi sceglie cosa, o ammettere di preferire l’uno a l’altro, dove in realtà l’uomo virtuoso agisce per tutti e due i modi, ho creduto di toccare un tema particolare, veramente strano proprio perché visto con soggettività istintiva e coscienza collettiva: l’appartenenza.

Che cosa ci appartiene? Che cos’è una cosa mia, o nostra? O ancora, noi apparteniamo a una visione o siamo funzionali a un reale progetto? Difficile rispondere, ma non impossibile, tuttavia in questa sede tenterò di arrivarci in maniera retroattiva. Questo significa che è necessario fare i conti con quello che c’è adesso, il sistema di valori presenti figlio di un passato da noi creato. Impossibile non ammettere le nostre responsabilità, ma questo non significa che non vi si possa cambiare.

Dunque, andando a ritroso è incontestabile il fatto che la società di oggi, sia soprattutto il risultato di scelte collettive effettuate da un gruppo di persone, che avendo potere di effetto sulla realtà, per possibilità di modifica diretta, ha generato la situazione attuale: ospedali, aziende, scuole, chiese, città, sistemi di trasporto, metodi di pagamento, efficienza energetica, gerarchie istituzionali, collettivi culturali come associazioni, squadre sportive, fondazioni, partiti politici … tutto secondo un presunto sistema di valori.

Bene, prendete questo ultimo concetto cambiando una sola parola: “tutto secondo un concesso sistema di valori”. Che cos’è il valore? Il valore è, di fondo, un asset o fattore di potenzialità che ha un’efficienza per qualcuno che scopi ben precisi. È la questione della morale collettiva, che non viene considerata da chi comanda di solito … questo va scritto per palesare una ovvietà che ci dimentichiamo spesso. Abbiamo realmente possibilità di scegliere? Potremmo vivere in maniera alternativa? Se si, ci verrebbe concesso? Verremmo ascoltati … o ostacolati? Sarebbe splendido, perché la fortissima sensazione dell’appartenenza è la caratteristica di una comunità vivente che si riconosce nelle sue azioni e nei loro significati. Purtroppo il nostro modello di vita attuale, nella maggior parte dei casi, ci è fornito da altri rappresentanti che hanno inclinazioni a dirigere senza interessarsi alla comunità.

Qui si crea un problema, perché anche ove l’appartenenza a un’idea non la sentiamo, ci riguarda lo stesso. Se un singolo individuo comincia a perpetuare atti alternativi, per ampliare le sue possibilità di sopravvivenza o espressione, nel giro di poco tempo vedrà la sua vita fortemente limitata non solo da autorità ed organi di controllo, bensì dagli stessi soggetti facenti parte della sua sfera quotidiana. Urge un risveglio educativo, che sul senso di appartenenza comune, in quanto interdipendenti, sappia risvegliare le nostre coscienze.

Quando le strutture sanitarie avranno le capacità di custodire l’equilibrio della salute umana, quando potremmo fare affidamento su un sistema educativo impari, quando ogni persona potrà appellarsi al rispetto, senza subire invadenza o dietrologie comportamentali da altri, si potrà ristabilire una prerogativa fondamentale del senso di appartenenza a una comunità: la fiducia.

Qualora questa non arrivi, in quanto non contemplata da un certo sistema, allora verrà il momento di crearne uno nuovo, questo perché è molto probabile che le soluzioni non arrivino da contesti che minano le potenzialità umane. C’è un detto che nelle ultime ore mi ha profondamente colpito: “Quando un uomo onesto scopre di aver sbagliato, egli o smette di sbagliare o smette di essere onesto”.

Credo che chi si arroghi il diritto di coordinare le parti importanti del mondo, non abbia mai costruito niente, e questo per sua scelta, così come credo che chi ha faticato realmente, possa costruire qualcosa di nuovo, magari anche coadiuvando meglio le energie necessarie: tutto è migliorabile, ma finché non opteremo per soluzioni alternative, nella naturalezza della bontà umana, e nell’intelligenza delle azioni consapevoli, sapendo di avere comunque dei contendenti, non potrà cambiare nulla a favore di noi comuni mortali.

Ci appartiene di diritto il nostro benessere, il tempo presente e futuro, le risorse necessarie al sostentamento di base, e la possibilità di interagire nei contesti a noi più affini. Finché non saranno ristabilite le seguenti dinamiche nessuno avrà, nel frattempo, il senso di appartenenza a un mondo che ritiene necessario proteggere e salvare.

Pensate a tutto quel che manca, a come potrebbe essere migliore quello che già c’è, e alla realtà che potremmo lasciare alle anime che verranno. Pensiamo sempre, pensiamo in grande, perché tutto il domani appartiene a noi oggi

Paolo Cavaleri

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