le CREDENZE come scelta consapevole per manifestarsi e colorare l’esistenza

di Paolo Cavaleri

Carissimi redattori e amati lettori

L’EDITORIALE – Alle porte dell’inverno ho creduto di dovervi lasciare alcuni concetti per cominciare a chiudere un ciclo. Riflettendo, mi riallaccio a ciò che muove lo spirito umano. Essa è invisibile, e quando enunciata non può che apparire come qualcosa al di sopra di noi: la fede. Bè, è ovvio che il concetto di religione salti alla mente, ma essa ha intrinsecamente un chiaro rimando alla regola. Noi uomini moderni siamo lontani da una sacralità che ha fondato ordini, scandito regole civili e proclamato stati-nazione, indi dovrò alludere a un qualcosa di collegato alla fede. Fondamentale, ispiratrice, che ha nella sua natura una serie di sensibilità tangenti a ciò che chiamiamo credenze.

Esse comprendono il carattere valoriale dei nostri princìpi, sostengono tutto quel corollario di convinzioni che insieme giustificano l’azione, costruiscono il percorso e nutrono lo scopo. Prima di affermare ciò che è possibile oggi ammettere, è giusto comunque scrivere, poco, giusto per rimembranza, su come il credo, preso per iter trascendentale di virtù da raggiungere, abbia plasmato l’intera vita comune da oriente a occidente: pensate ai comandamenti, alle icone che l’arte ha tramandato nel tempo e le gerarchie sociali che ogni religione ha lasciato all’uomo. Egoisticamente confesso che fra i tre soggetti sopra enunciati – regole, iconografie e gerarchie – ho guardato alle regole, studiato i simboli e mal sopportato i leader:
non è insolenza, quanto avere quella sensazione che verità assolute siano reali solo perché si.
Già scrissi di come fortunatamente tutto passi e niente rimanga, tuttavia nulla dice che altro possa tornare, e perché no, migliorare. Si capisce come noi, coltivando i pensieri, non siamo per l’immanenza dei dogmi ma, allo stesso tempo, non si può che ammettere come il calore e l’utilità di messaggi comunitari, siano utili al fine di far parte di qualcosa.

Anch’io sono cresciuto nel credo cattolico, di ispirazione cristiana, udendo i comandamenti, avendo il Cristo come amico e suo Padre, il mio protettore a difesa del diavolo, caduceo e reo di aver disobbedito al Creatore. Anch’io ho fatto Comunione, per unirmi all’idea che siamo i suoi figli, e fui cresimato per bere il suo sangue, come altri presenti a quel rito. Poi crebbi, e mai dimenticando il collettivo iniziale, conobbi altre fedi. Vi fu la politica, che nei giorni di ateneo universitario, tramite i giornali rossi di un comunismo mai realizzato, mi spinse a guardare oltre gli ‘ismi’, ma ringrazio ancora il fervore di quei ‘compagni’ che credono ancora nella società per gli eguali diritti. Ricordavo spesso come la madre di mia madre, essendo ebrea, digiunava, studiava l’esperanto e si recasse in Sinagoga per la Pasqua, sempre onorando i lumi di quelle candele molto armoniche, di corredo a parole solennemente arcaiche.

Forse la più grande fu l’accademia, che per fede aveva la didattica, sostenendo la forza di un discernimento intellettuale che ancora oggi accompagna la mia mente, e dopo, come di fondo qualsiasi ventenne curioso sentii le idee di Geova e il metodo di Scientology … senza mai abbracciarli. Da lì, altri cattolici ho rivisto, di massoni ne ho conosciuti fino alla più curiosa disciplina, a me in teoria più somigliante, che è quella del Buddismo. Di questo ve ne sono molti tipi e, con tutte quelle citate, in due decadi ho notato come siano di comune accordo sul non mentire, non uccidere, denuncino il furto, onorino i progenitori e l’amore monogamo celebrato con sacramento.

Sono di fondo cristiano, non praticante, ma sento che molto più c’è di una bandiera, un colore e una preghiera. Dovrei dunque ammettere di esser seguace di una certa inclinazione chiamata “sincretismo”, per intenderci quella che i romani celebrarono ergendo il Pantheon per accettare i diversi credo. Appoggio l’idea ma non il fine politico, ma il punto è che si cresce meglio quando si è insieme e nella propria convinzione del cuore.

C’è un simpatico concetto che il Medioevo, chiamato il millennio cristiano, ha lasciato a tutti anche nel modo di fare arte, che sta fra le immagini antiche, e quello che sarebbe stato il Rinascimento onorando il genio italiano. La differenza tra ciò che è vero e quel che è reale: all’epoca le opere venivano eseguite seguendo quella cultura, l’intima fede per il Dio di una Chiesa che nei secoli avrebbe visto la Città del Vaticano. Ebbene, si creava non guardando o imitando la natura, ciò che si voleva erano figure affini alle Verità cristiane. Il Vero era il regno celeste, un credo voluto, accettato e destinato a giudicare la vita terrena dei fedeli. Il Reale per contro, apparteneva ai sensi, quindi umano, e dunque imperfetto come Dio non poteva essere: noi esseri reali di carne e sangue credevamo a un vero che non si vedeva ma si sapeva giusto, omettendo il dato reale della materia percepita ad occhio nudo. Ecco perché il medioevo è ricco di simboli.

Forse, verrà un giorno in cui l’uomo avrà sue credenze, fiducioso coi simili si confesserà al prossimo, nutrendosi da differenti culture, aprendo a un nuovo senza certa meta, ma soprattutto, avrà una matura consapevolezza di profonda gratitudine che qualunque Dio o mantra si professi, sarà solo un diverso modo di colorare la vita e di chiamare noi, umani.

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