Testo ed immagini di Elisa Heusch
QUARTO OCCHIO – Nel bel mezzo del quotidiano si affaccia la possibilità di prendere parte ad eventi che lasciano il segno, che catturano a tal punto sia lo sguardo che il ‘sentire’ più profondo, tanto da far pensare che debba diventare un appuntamento fisso di ogni anno, un qualcosa di imperdibile ed irrinunciabile!
Questo è esattamente ciò che ho vissuto quest’anno riuscendo a visitare finalmente – insieme ad un gruppo di amici fotografi e appassionati del settore – il festival internazionale di fotografia nella cittadina di Arles, in Provenza: Les Rencontres de la Photographie.
Avevo sentito parlare di questo festival più volte, e anche soprattutto quando frequentai la scuola di fotografia, proprio per l’importanza che da decenni riveste: tutte le estati, a partire dal 1970, Arles diventa la capitale europea della fotografiagrazie a questa manifestazione, che propone ogni anno un’attentissima selezione di lavori (in gran parte inediti) di artisti internazionali emergenti o quasi, allo scopo di rimanere sempre al passo con i tempi e documentare il cambiamento costante e continuo dell’immagine fotografica, con particolare attenzione verso le tematiche sociali. Durante la settimana di inaugurazione vengono organizzate – in aggiunta alle mostre che rimangono allestite per circa 3 mesi – proiezioni, talks, conferenze ed incontri con alcuni autori, nelle molte suggestive location della città, tra cui il teatro antico.
La tematica e filo conduttore di quest’anno è “Beneath the surface”, ovvero tutto ciò che sta ‘sotto la superficie’: tumulti, tracce, letture e riletture parallele costituiscono le nuove prospettive che sono alla base dell’edizione 2024 dei Rencontres d’Arles.
Fotografi, artisti e curatori rivelano al mondo le loro visioni e storie, con al centro l’umanità, di volta in volta contrastata, in continua ridefinizione e resilienza.
Ai margini o al centro, le narrazioni conducono a molteplici percorsi divergenti che si intrecciano tra loro e si sovrappongono, e tutto questo insieme apre una pluralità di itinerari da seguire. Talmente tante esposizioni che ci sarebbero voluti altri giorni per riuscire a visitarle tutte, comprese quelle del percorso “Off”, allestite all’interno di negozi, ristoranti e spazi commerciali, sempre con grande gusto estetico e narrativo.
La prima mostra che abbiamo visitato è stata quella di Nicolas Floc’h dal titolo “Rivers Ocean, The landscape of Mississippi’s colors”, di grande impatto per l’idea di base che ha avuto l’autore, e che ha saputo rendere in un allestimento innovativo perfettamente congeniale alla sua vasta ricerca.
Nel 2022, il fotografo ha documentato lo spartiacque del Mississippi da 224 colonne d’acqua in altrettanti siti, coprendo addirittura 31 stati.
Ogni colonna allestita nell’esposizione è composta da una serie di fotografie subacquee panoramiche organizzate verticalmente in gradazione di colore a seconda della profondità alla quale sono state scattate.
Contemporaneamente, sono abbinate a queste delle serie di immagini in bianco e nero che documentano lo spazio terrestre in mezzo a questi tratti di fiume percorsi e analizzati dall’autore.
Questo rilievo fotografico dello spartiacque si riferisce al percorso dell’acqua sia visibile che invisibile, compresa quella atmosferica, o quella inscritta nelle rocce, abbondante di vegetazione, assente invece nelle zone aride.
In questo modo sembra di fare questo stesso viaggio insieme all’autore e le varie sfumature di colore – date appunto anche dal pulviscolo, dai sedimenti o dall’inquinamento delle falde – risaltano ancora di più, in contrasto con i paesaggi monocromatici. Un lavoro immenso, che mi ha stupita e affascinata.
Al Palais de l’Archevêché va in scena “I’m So Happy You Are Here”, che presenta un’ampia selezione di opere fotografiche realizzate da oltre 25 artiste giapponesi di diverse generazioni, che attraverso il mezzo fotografico hanno espresso sé stesse e le proprie storie. Con un focus su materiali dagli Anni 50 a oggi, la mostra esplora tre tematiche principali: l’osservazione della vita quotidiana in modo delicato e profondo; una prospettiva critica sulla società giapponese, in particolare sui ruoli abitati – e spesso reinterpretati – dalle donne giapponesi; ed infine delle sperimentazioni ed estensioni della forma fotografica, con anche l’utilizzo di tecniche di collage, ritaglio, installazioni e varie fusioni tra forme d’arte.
Interessanti ricerche e punti di vista, con allestimenti ottimali in ogni stanza, volti a far risaltare ogni sequenza d’immagini.
Questa 55’ edizione apre anche archivi di artisti internazionali, ad esempio portando in Francia i rituali e le usanze delle pescatrici subacquee giapponesi ‘ama’, attraverso le immagini di Uraguchi Kusukazu, esposte nella stupenda cornice dell’abbazia di Montmajour, appena fuori città, che senza dubbio vale la pena visitare.
Il fotografo, originario di Shima, sulla costa pacifica del Giappone, ha seguito e fotografato queste donne pescatrici (di alghe, perle, abaloni e altri crostacei) a partire dagli anni ’50 e per oltre trent’anni, restituendoci la bellezza di un’usanza antica ed importantissima nella società e cultura giapponese.
Un’altra specie di ‘archivio’ presente al festival proviene dall’universo misterioso e stravagante degli oggetti studiati e collezionati da Michel Medinger (Lussemburgo),presenti in mostra dentro la ‘Chapelle de la Charité’.
Negli ultimi quarant’anni il genere still life ha costituito un’ossessione per questo grande esploratore delle tecniche fotografiche, che ha sviluppato tutte le sue stampe nel proprio laboratorio, sperimentando numerosi processi, dal Cibachrome al trasferimento Polaroid, o anche il platinotipo.
Ogni sua fotografia è il risultato di un allestimento sviluppato con molta attenzione, che ha composto a partire dalla sua fantasiosa collezione dei più disparati oggetti accumulati anno dopo anno nella sua casa, dove ogni angolo esprime la sua mentalità creativa. I suoi cassetti sono pieni di vecchi strumenti, scheletri di uccelli, fiori appassiti, teschi, oggetti piccoli e inutili e persino frutta e verdura antropomorfe. Costruisce così un intero alfabeto personale, i cui elementi simbolici sono presi in prestito dal genere pittorico della vanitas (una natura morta con elementi simbolici allusivi al tema della caducità della vita) e che egli riesce a trattare con umorismo e irriverenza.
Abbiamo trovato di particolare interesse la prima retrospettiva mondiale della famosa fotografa documentarista e ritrattista americana Mary Ellen Mark, che occupa l’intero piano terra dell’Espace Van Gog.
Questa ricca esposizione, intitolata “Encounters”, racchiude i molti importanti progetti a lungo termine che la fotografa ha realizzato nel corso dei decenni, come “Ward81”, riguardante l’esperienza vissuta nell’ospedale psichiatrico femminile dell’Oregon nel 1976 (il libro relativo uscì nel 1979), o come il lungo progetto sulla senza tetto Tiny e la sua famiglia, le cui vicende la fotografa ha seguito per più di 20 anni. E poi il lavoro sullo stretto legame tra sorelle e fratelli gemelli, con la potenza dei ritratti di cui è stata capace, e con testimonianze video, o gli spaccati di vita americana degli anni ’60, tra cui le rivolte contro la guerra del Vietnam, le ribellioni femministe ed altri salienti momenti storici.
Di grande rilievo, tra le altre, la grande retrospettiva presso il Musée Réattu di Jean-Claude Gautrand, un importante fotografo francese, che è stato anche curatore di mostre, giornalista e storico della fotografia. Il suo legame con il museo risale al 1970, anno di fondazione dei Rencontres d’Arles, e vi espone dal 1971.
Per quasi cinquant’anni è stato un testimone instancabile del festival, raccogliendo archivi eccezionali donati nel 2022 dalla moglie Josette Gautrand al centro di ricerca e documentazione del Musée Réattu.
Questa mostra ci mostra il protagonista in un duplice aspetto: da un lato Jean-Claude Gautrand in veste di fotografo – con oltre 350 fotografie scattate dal 1961 al 2010,appartenenti alle collezioni del Musée Réattu, dei Rencontres d’Arles e, soprattutto, la collezione personale di sua moglie – e Jean -Claude Gautrand come osservatore chiave della storia della fotografia ad Arles.
Il Musée Réattu ospita dunque in occasione del festival un’esposizione artistica e storica, che rappresenta un omaggio molto sentito da parte della Città di Arles e dei Rencontres d’Arles.
Altre importanti esposizioni sono presenti presso il Luma – Parc Des Ateliers.
Tra queste la mostra “Lee Friedlander framed by Joel Coen, nata dalla collaborazione tra il fotografo statunitense e il noto regista.
Attraverso 70 fotografie e un film, la mostra ripercorre i 60 anni di carriera di Lee Friedlander. La scelta di Coen racchiude il suo singolare approccio alla composizione e svela anche un’affinità tra i due artisti: entrambi esplorano il potere insidioso delle immagini utilizzando fotogrammi frammentati, composizioni ingannevoli, inquadrature sconnesse ed effetti specchio.
Nei saloni de La Mécanique Générale è presente la mostra “When Images learn to speak”, più di 5.000 fotografie di un centinaio di fotografi, raccolte negli ultimi 30 anni. (La A Foundation – la collezione di Astrid Ullens de Schooten Whettnall – non ha scelto di concentrarsi sui modi di vedere, sui modi di pensare e sulle posizioni nei confronti del mondo). La collezione della fondazione ci introduce a una generazione di fotografi documentaristi concettuali il cui approccio offre importanti spunti sul mondo, sulla natura, sulla società e sulla vita dei singoli esseri umani e di altre creature viventi.
Di seguito a questa troviamo l’esposizione “Mo Yi: Me in My Landscape”, il primo grande studio museale completo delle prime opere dell’artista cinese Mo Yi. Le immagini del fotografo outsider e autodidatta catturano l’energia e la malinconia del tessuto sociale in evoluzione in Cina durante la seconda metà del XX secolo.
Nel corso della sua carriera, Mo Yi ha saputo sfidare le idee dello sguardo fotografico scattando immagini spesso senza guardare attraverso il mirino e posizionando invece la fotocamera dietro il collo, oppure fissata a un bastone, riuscendo a fotografare a livello del suolo mentre camminava.
Alcune mostre si sono già concluse a fine agosto, ma la maggior parte sarà visitabile fino alla chiusura del festival, il prossimo 29 settembre.
Per informazioni generali come orari e costi dei biglietti, ed info dettagliate sulle singole mostre ed eventi si può consultare il sito www.rencontres-arles.com.