Nipote, figlia, figlioccia e madre d’arte: una famiglia fuori dagli schemi ed un padre da raccontare
di Tiziana Etna
In quest’epoca…i figli d’arte come me si sentono come quei nobili caduti in disgrazia ed è per questo, forse, che non appartenendo alla categoria, non ho mai pensato di scrivere una biografia sul mio retaggio artistico, tuttavia sono: nipote, figlia, figlioccia e madre d’arte, ho una famiglia fuori dagli schemi ed un padre che è giunto il momento di raccontare.
Non è stato facile diventare adulta, più volte ho pensato di scrivere la mia esperienza di vita, soprattutto quella di natura spirituale che ha dato un senso tutto, ma mai prettamente biografica e relativa all’identità fisica che incarno in questa vita. Eppure, grazie ad una breve intervista da me rilasciata in un blog, ho ritrovato famiglia e testimoni viventi della mia storia e della storia di mio padre: Enzo Pulcrano, campione italiano di pugilato- pesi medi 1968 – e attore, alla quale desidero aggiungere tasselli e apportare correzioni.
Svuotare il sacco potrebbe rivelarsi catartico e illuminante
Quando ero poco più che adolescente, l’uomo che sarebbe diventato il mio futuro (ed ora ex) marito, per proteggermi, mi consigliò di non raccontare le dinamiche della mia famiglia; lui per primo non mi aveva creduta, temeva che anche gli altri mi avrebbero ritenuta bugiarda ed abitando in una città provinciale avrebbe avuto ragione (anzi l’aveva). Quindi smisi di raccontare chi ero, da dove venivo, cosa vivevo, perchè e con chi. Poi mio padre morì e tutto quello che facevo con lui e che poteva essere ritenuto falso: cessò. Dall’altro lato mia madre, che era stata una soubrette, non era e non è, mai stata incline a raccontare i tempi della ribalta, per tanto, non fu difficile dimenticare.
Anche le canzoncine dal repertorio teatrale che mi cantavano da bambina ed i racconti di famiglia tirati fuori a loop per anni, soprattutto dai nonni, con il loro trapasso svanì.
Oggi mi chiamo Tiziana Etna, ma non è stato sempre così…
Nasco a Roma il 25 maggio del 1969 e mi chiamo Tiziana Parlato, sono il frutto di due genitori-artisti e non sposati, anzi, sposati con altri ed entrambi con un figlio, per tanto eredito due fratelli: Valter Pulcrano e Vladimiro Parlato.
Mio padre: Vincenzo Pulcrano, era emigrato con la famiglia da Acerra a Roma, cresciuto come un ragazzo di borgata si era costruito una carriera pugilistica vincendo il titolo italiano di pesi medi nel ’68. Grazie alla cronaca di una vita vera (non ho mai conosciuto i dettagli), rappresentata nel film “A pugni nudi” del quale è protagonista ed autore della sceneggiatura… e per la faccia da bello e impossibile ma delinquente; approda parallelamente al cinema degli spaghetti western e dei polizieschi: tanto in voga negli anni ’70. E’ il protagonista della “Banda Vallanzasca” e riveste ruoli importanti in una quarantina di films. Mi raccontavano che si ritrovava sul set con Fiorella Mannoia, perché da giovanissima essendo un abile cavallerizza lavorava come controfigura nelle scene pericolose. Da sempre quella dell’ amazzone mitologica è per me una figura di riferimento e non so se è a causa di questo aneddoto, ma come donna, oltre che come artista, mi è sempre sembrata una tosta.
Sport, cinema ed ambizioni personali impegnavano mio padre e non c’era spazio per me. Dopo aver vissuto anni in Venezuela torno’ in Italia per dedicarsi ad allenare pugili e alla carriera cinematografica. Al ritorno c’è una novità: Tiziana, una ragazzina di nove anni che gli somiglia tanto.
Mia madre “Adriana Sanremo” (nome d’arte) che aveva sposato il genovese capocomico della Compagnia del Becco Giallo e comico Sergio Parlato, ne era la prima ballerina. Ora, c’è da dire che mia mamma a sua volta era nata all’interno del Teatro Petruzzelli di Bari a fine guerra e qui va aperta una bella parentesi, perchè la prima Etna (amazzone) e donna discutibilmente coraggiosa della famiglia era stata mia nonna: Etna Maria Maddalena. Entrata nel corpo di ballo, era scappata di casa per seguire la compagnia dove mio nonno suonava la tromba ed una volta incinta aveva continuato a seguirla come sarta di scena. Sui miei nonni di sangue ed acquisiti, ci sarebbe da scrivere un libro. Stiamo parlando del 1945, mio nonno Alvaro D’avanzo, livornese, di mestiere faceva l’orchestrale, diceva sempre:-”Ho fatto quarant’anni l’orchestrale!” Comunque, non si sa se in accordo o no, ma aveva lasciato una moglie e due figli a Milano e con mia nonna ne aveva concepiti altri due. Mia mamma, la prima dei due, era nata a Bari in teatro e forse, una volta cresciuta faceva la soubrette perchè quello era l’unico mondo che aveva conosciuto, lo penso ma non sono certa, fatto sta che lasciata da suo marito e da mio padre, mia madre iniziò a fare la mascherina al cinema e una volta trasferita a Livorno ispirò tante donne, essendo tra le prime autiste di autobus della storia.
Tornando ai tempi della mia nascita, mia madre era di fatto separata ma non legalmente e lavorava ancora a Roma, al Teatro Ambra Jovinelli ( dove compare all’inizio del millennio nel manifesto di riapertura- prima donna in basso) con nomi illustri, tra questi il grande Erminio Macario, con il cui figlio Mauro Macario: poeta, scrittore ed artista eclettico, conserva tutt’oggi una sincera amicizia e con la caratterista livornese Viviana Larice. Viviana Larice: caratterista, attrice, cantante di opere e di operette, quest’artista straordinaria e’ stata la mia madrina, ecco perché sono figlioccia d’arte. Con mia madre, dopo essersi perse di vista per una trentina di anni, si sono ritrovate a Livorno e sono state amiche fino a che è stata tra noi e finché c’è stata ha vissuto per il teatro.
Ad ogni modo, quando sono nata io, mia madre non era legalmente divorziata (credo non si potesse) così mia nonna pensò di registrarmi con il cognome del marito di mia mamma e non con quello di mio padre, o di mia madre.
Mio padre nel 1969 era sull’onda del successo pugilistico e cinematografico. Ricordo benissimo, anche se avevo al massimo tre anni, questo uomo affascinante sulle macchine sportive o con l’autista che mi riempiva di regali: giochi, vestiti e mi faceva conoscere la gente della tv.
Era troppo concentrato su se stesso per esserci e poi la nonna che non a caso lo aveva ribattezzato “Enzo Puttano”; lo aveva anche in parte escluso dalla mia vita. Mi veniva a prendere e mi mandavano con gioia, tuttavia, non sapevo che era mio padre e non dovevo saperlo.
Nel frattempo, dopo lunghe battaglie, mio fratello (di madre) Vladimiro, portato via da suo padre alla mia nascita, probabilmente proprio perchè ero nata io bella (insomma-normale) bastarda, era venuto a vivere con noi. Ho il filmato del giorno che l’ho conosciuto: avevo sei anni e lui nove, lui era stato sballottato per collegi ed io ero cresciuta con mamma, nonna ed il suo secondo compagno: anch’egli autore di libri, canzoni e di macchiette e con zie e cugini. E menomale che era arrivato lui, perchè tutto quello che conoscevo stava per essermi strappato via: la mia famiglia allargata, la mia nonnina, il mio migliore amico Paoluccio, il mio quartiere e Roma.
Prima a Ciampino in collegio, io una classe: la prima elementare dalle suore maltesi, e mio fratello dalle stesse suore a San Giovanni a Roma. Poi a Livorno e per la prima volta come fratello e sorella alla scuola statale.
Arrivati a Livorno eravamo sofferenti e non ci integravamo con facilità, ne io, ne Vladimiro che a sedici anni tornò a vivere con nonna a Roma, ma da piccoli: ogni festa, ogni occasione di tornare nella nostra città era pura gioia. Soprattutto nel disagio dei primi tempi, durante qualche litigio da bambini, mio fratello mi diceva che non ero sua sorella, che non avevamo lo stesso padre. La sincerità cattiva dei bambini…sia chiaro: io e mio fratello ci amiamo.
La verità
Un giorno, avrò avuto nove anni, mia mamma mi porta in piazza del Popolo a Roma e mi istruisce, dicendomi:- adesso arriva una persona e ti chiederà se ti ricordi di lui, tu digli si, sei Enzo Pulcrano. Io ricordavo, come può ricordare una bambina di tre anni riempita di regali. Arriva quest’uomo bello e il copione è quello di mia mamma, solo che la sua risposta mi destabilizza.
Lui dice: sai chi sono?…ed io si, sei Enzo Pulcrano…. Si, è il mio nome _risponde lui, ma tu dovresti chiamarmi papà.
Mille domande, mille emozioni nel mio cuore, era un estraneo e confesso che non sono riuscita a dire “papà”per anni ( tra l’altro vivevo a Livorno e si diceva babbo). Lui era stato in Venezuela a Caracas, almeno sei anni, aveva aperto un casinò e fatto un altro figlio, così diceva. Era partito per fare la guardia del corpo a Frank Sinatra.
Da quel momento, avevo un padre anch’io e mi chiamavo Tiziana Etna. E che padre! Mio padre viveva nei residence, aveva l’autista e quando andavo a Roma da lui, anche per lunghi periodi da grandicella, inevitabilmente incontravo personaggi famosi, sia nei luoghi in cui viveva che tra le sue amicizie, passavo giornate insolite per una bambina, spesso in giro per commissioni o alle Capannelle – E si! Era un giocatore. L’estate soggiornavamo spesso a casa di Valter Chiari a Fregene e chiamavo “zio” Franco Califano. Come tutti i ragazzini, una volta a Livorno io e mio fratello Vladimiro fummo introdotti allo sport ma scegliemmo il rock and roll, ballavamo quello acrobatico e facevamo gare, cosi quando tornavamo a Roma, mio padre portava tutti e due per vantarsi all’Hippopotamus (non sono certa che si scriva cosi) comunque era il locale di Califano, si scendeva per arrivare alla pista stile febbre del sabato sera e lungo le scale: tante foto e in tutte mio padre.
Quando avevo tredici anni, mio papà che si era lasciato dalla fidanzata buona, si trasferì dal residence in Corso Francia al residenze Roccaporena, dove abitavano un sacco di stelle delle tv come : Renato Zero, Loredana Bertè. I sorcini sempre fuori ad aspettare erano il mio unico svago, l’avevano ribattezzato RoccapoRenato e quando mi annoiavo la cameriera ai piani mi portava nelle stanze dei vip, il ricordo più vivido è la stanza di Loredana piena di stivali camperos tutti intorno alla stanza; bellissimi.
Ogni volta che stavo da mio padre conoscevo gente famosa, ma poche volte i parenti; la nonna, le zie, gli zii, i cugini. Anche mio fratello paterno Valter, fino a quel momento l’avevo visto poche volte. Iniziammo a conoscerci da adolescenti ma eravamo vittime dell’ego inconsapevole dell’uomo che ci aveva generati (ma lui un po’ di più).
Di tutta questa storia c’è un articolo sul settimanale Gente del 1982 o del 1983, una bella intervista dove diceva di avere due figli Tiziana di tredici anni e Valter di sedici, contando indietro sono quelli gli anni, magari qualcuno ha questi giornali: LANCIO UN APPELLO!
Quando conobbi la verità si cominciò a discutere del mio cognome, ma non era giusto prendere quello di mio padre che avevo appena conosciuto, quindi chiesi di prendere Etna, il cognome di mia madre, che a sua volta l’aveva preso da mia nonna. Terminata la quinta elementare come Tiziana Parlato, alla scuola media entrai come Tiziana Etna.
Non era la vita per una ragazzina ma avevo molto da raccontare quando tornavo a Livorno e poi ero affascinata da lui, capitava, capita ancora molto di rado, di fare zapping e trovarlo in tv, moriva sempre e ci soffrivo.
Capisce che puoi ritrovarti solo chi si è perso
Vicina alla maggiore età e con una storia d’amore complicata, cercai un conforto che non ebbi, oggi capisco che doveva combattere le sue battaglie. Dopo aver vissuto per una stagione con lui e la nuova fidanzata (segretaria di produzione di una famosa casa cinematografica) con la quale, malgrado volesse farmi credere stabilità non c’era empatia; tornai a Livorno dal mio amore.
Per un po’ continuai a cercare mio padre, che altro che stabile! Era sempre più strano. Non ricordo perchè, mi trovavo in un barraccio di San Lorenzo a Roma, forse avrei dovuto prendere un treno, ma ricordo benissimo il momento che segui’, addirittura gli odori e il telefono a gettoni nell’angolo angusto. Alla mia ennesima chiamata senza trovare mio padre, quella che oggi chiamo per questa ragione “la fidanzata cattiva” “mi disse di scordarmi mio padre, che io non avevo un padre, che a lui non interessava di me”. Sicuramente era degenerata tra loro, ma io le credetti, senza capire che invece mio padre si era perso. E mi ero persa anch’io. Non ho rimpianti. Mi creai una famiglia e stetti tre anni senza volerne sapere più niente di lui, l’esodo della mia storia d’amore fu che andai a convivere con un mucchio di problemi e smisi di parlare di me, di lui…di Roma.
Una sera il telefono fisso squillò, era lui che mi pregava di andare a Roma perchè doveva sottoporsi ad un’operazione e voleva chiarire cose con me. Sapeva, sentiva che non sarebbe sopravvissuto.
Avevo ventun’anni, un figlio ed un compagno che non mi poteva sposare, ma che mi adorava e proteggeva, per tanto, dopo una prima esitazione tornò a casa dicendo: partiamo! Ti porto a Roma da tuo padre.
L’ultimo ricordo
Il 27 febbraio del 1992 mio padre, ricoverato all’ospedale San Filippo Neri di Roma in attesa d’intervento, conosce il mio compagno e mio figlio Lorenzo ( Lorenzo Iuracà cantautore). È in un bellissimo pigiama di seta nero con tante righe colorate, in braccio a destra il nipote che non aveva mai conosciuto e a sinistra l’altro nipote. Anch’io vedo per la prima volta Fabrizio, il figlio di mio fratello (di padre) Valter, nato solo un mese prima di mio figlio. Entrambi avevano appena superato un anno di età.
L’unica immagine che conservo di mio padre con i suoi nipoti è questa dolcissima e lui che esclama: “Che bei nipoti!” . In quell’occasione mi racconta tante disavventure, di una vita ai limiti ma con valori fondamentali, di cui certi coccodrilli ne offendono la memoria. Mi dice che gli hanno sparato ed altre cose che a me non importano. Mi vede magra, mangiata, confusa e lo vedo chiaramente sofferente per me, mi promette di esserci e se ne esce vivo, di darmi il cognome; d’altronde doveva essere un’operazione semplice. Muore il giorno dopo in rianimazione dopo essersi svegliato ed aver chiesto un sigaretta (negata ovviamente). Ed è sepolto vestito con il suo completo gessato preferito.
Tutto cambia
Da quel momento la vita assume per me un differente valore. Tutta quella vita che avevo conosciuto da bambina e il bello dello spettacolo si interrompe con me, dal perdersi al ritrovarsi e reinventarsi con resilienza, ho cominciato a partecipare agli eventi straordinari dell’esistenza fino a scoprire che tutto è necessario, anzi prezioso. Da sposata vivevo con mio nonno materno a Livorno, l’orchestrale, che per giocare a mio figlio insegnava i solfeggi. Ho un figlio musicista ed un’ altro di 17anni più giovane che nella musica comincia a muovere i suoi primi passi. Intorno al 2010 i primi passi nel professionismo li muoveva mio figlio grande. Fu allora che il Maestro Pino Scarpettini, con il quale lavorava ad un progetto antologico sui Trolls, mi fece notare che con il mio retaggio familiare avrei potuto indirizzare l’impegno giornalistico ( professione che al tempo osavo solo sognare), oltre che nel settore olistico-spirituale, anche in quello della cultura dello spettacolo. Ho seguito il consiglio.
Oggi vivo con passione il giornalismo che fa cultura, arrancando per vivere come molti della categoria che non vivono in città ricche di opportunità, ma almeno appoggio la creatività dei miei figli. Tutta la mia vita complessa e molto giudicata, mi ha portata alla consapevolezza di avere una missione spirituale anche in quel giornalismo che parla di musica. Recentemente, nel progettare un servizio sulla “vita” e quindi la storia tra Livorno e Genova dell’autore Gianfranco Reverberi ( mancato lo scorso gennaio) mi è stato suggerito di scrivere una biografia. Non credo al caso. Credo al flusso. Tutto ciò accade ad un anno dalla morte di mio fratello Valter. Alla fine non l’ho mai vissuto molto, comunque più di quanto abbia coltivato mio padre e i nostri figli sono veri cugini, tuttavia, la speranza di viverlo di più restava.
Quando credevo che perdendo lui avevo perso ogni possibilità di conoscere le mie origini, ad esempio il volto dei miei nonni paterni, ho ritrovato grazie al flusso, una famiglia che non avevo mai conosciuto. Tutto questo ha motivato questo lungo scritto e anche il profondo desiderio di chiedere più cose a chi può aiutarmi ad averle. Da mio padre non ho avuto niente, solo motivi futili per cui vantarmi e li riscatto. Ma mi guardava sempre come un uomo fiero di avermi per figlia.
La fortuna vuole che sia l’era di internet…
– desidero trovare quel settimanale Gente del 1982- con l’intervista ad Enzo Pulcranodesidero che chi avesse foto private relative ai tempi di questo racconto possa inoltrarle a questo giornale redazione@poloartisticovinile.it ma soprattutto desidero che siano corrette le cose ingiuste. Cronache errate riferiscono che sia morto per overdose di eroina; per i suoi valori di vita e di ambiente, benché non sia stato uno stinco di santo, “l’eroina” è una grave offesa alla sua memoria e non è la sua carnefice. E’ morto a seguito di un’operazione al cuore… un cuore sopraffatto dal vivere malsano. Tuttavia è stato un campione di pugilato, uno sportivo ed un attore ed andrebbe ricordato per il contributo che ha dato. Ed ha allenato grandi come Benvenuti.
Inoltre, visto che le pellicole ancora circolano, sarebbe giusto che almeno ai miei nipoti Fabrizio e Lucrezia Pulcrano ( che ne portano il cognome) venissero riconosciuti dal Nuovo Imaie i diritti di riproduzione cinematografica.
Se il mio racconto non sortisce effetto fa lo stesso, ringrazio il Maestro Andrea Pellegrini per il suggerimento; resto speranzosa ma finalmente libera di dire la mia verità.
💚ringrazio Liana per il materiale