di Elisa Heusch
QUARTO OCCHIO – La rassegna annuale “Il Maggio dei Libri” quest’anno a Livorno ha avuto una connotazione particolare, in quanto è dedicato alla scrittura al femminile, con l’obiettivo di dare voce nello specifico allo scrivere delle donne, del quale finalmente si può esplicitamente parlare, a differenza che nei tempi passati. Soprattutto perché statisticamente le donne hanno un approccio ancora più coraggioso, profondo e schietto verso l’analisi e la condivisione delle proprie esperienze di vita.
Ne è un chiaro esempio Stefania D’Echabur, il cui primo romanzo “Non scriverò la tua storia” è stato presentato dalla scrittrice e amica Laura Paggini, proprio all’interno del calendario di tale rassegna, lo scorso giovedì 11 maggio nel nuovo spazio presso il centro Fonti Del Corallo – primo piano – a Porta a Terra, in un incontro a cura del Centro per il libro e la lettura, e la Sezione Soci di Unicoop Tirreno.
Stefania D’Echabur, giornalista e scrittrice parecchio conosciuta e anche socialmente impegnata nella città di Livorno, è giunta all’uscita del suo primo romanzo autobiografico lo scorso dicembre (dopo che il progetto era stato sospeso per un periodo a causa di sopravvenute vicende personali) e anche in questa occasione alla quale sono stata felice di essere presente – essendomi persa le precedenti – ella ha avuto modo di poter raccontare come sia nata e come si sia sviluppata questa sua narrazione così intima e personale, e allo stesso tempo anche parecchio delicata.
Quello che subito ha sottolineato la Paggini, è il fatto che il racconto – il cui ‘io narrante’ si chiama Susanna – non è un racconto che si snoda attraverso un lineare ordine cronologico, ma risulta essere una sorta di viaggio all’interno dell’anima della protagonista, che si svela oggi come il frutto del proprio passato, un passato talvolta molto duro, doloroso e ingombrante, ma da dover comprendere e accettare per affrontare a testa alta e senza rancori il presente. Non c’è in questo caso una linea del tempo precisa scandita meccanicamente da un prima e un dopo, ma i lettori sono presi per mano e condotti da ‘Susanna-Stefania’ all’interno dei suoi ricordi che oscillano come un’altalena tra il passato e il presente in una continua mescolanza, come può accadere di solito a chiunque di noi, nella vita di ogni giorno, si trovi a percepire nitidamente un ricordo che si affaccia all’oggi.
L’autrice comincia con lo spiegare il significato del titolo del romanzo.
La storia principale riguarda la vita di Susanna, in seno al rapporto “naufrago” con una madre che è stata assente per molti anni – addirittura quarant’anni – periodo nel quale la donna non si è mai arresa ed ha cercato di ricostruire gli eventi, e comprendere come sua madre abbia potuto fare a meno delle figlie.
Quando poi vengono messi insieme tutti i tasselli di questo vissuto, e finalmente si ricompone il rapporto d’amore tra la figlia e la madre, che adesso vuole di nuovo essere presente, ella dice a Susanna di scrivere questa loro storia, per far sapere al mondo intero quanto male ci fosse dietro; ma a quel punto la figlia risponde “Non scriverò mai la tua storia, perché sono stata più madre verso di te di quanto tu lo sia stata verso di me, e ora voglio soltanto fare la figlia, senza continuare più a rincorrerti o elemosinare un briciolo di affetto da te, come ho fatto invece per tutti questi anni!”. Ma è anche vero, come dice l’autrice, che alla fine l’amore vince sempre su tutto, e quindi col passare del tempo è come se la storia stessa l’avesse chiamata per farsi raccontare e venire alla luce.
Questa è una storia che sicuramente racchiude molti aspetti drammatici, ma che porta ad un lieto fine, offrendo anche degli strumenti per le risposte ai propri quesiti, per decodificare degli atteggiamenti, e superare il vittimismo nel quale sarebbe facile rifugiarsi.
Sono stati letti due passaggi-chiave del libro ai quali l’autrice è particolarmente legata a livello di ricordi, ma che preferisco non svelare in questa sede, dato che auspico che leggiate il romanzo direttamente.
Laura ha poi chiesto all’autrice quale rapporto lei abbia con il giudizio, sia giudizio espresso che subito, oggi da adulta e precedentemente da bambina ed ella ha così risposto:
“Ricordo che da bambina spesso facevo le bizze e pestavo i piedi! Sono nata con un senso di giustizia nel sangue, anche perché essendo la mediana di tre sorelle, succedeva che la piccina potesse fare delle cose, la grande anche, mentre io non potevo fare mai niente…per cui già questo mi ha portata a diventare un po’ una ribelle. Poi il giudizio è emerso in quinta elementare quando lessi della Seconda guerra mondiale e accorgendomi che gli italiani erano alleati con i tedeschi mi vergognai e piansi tanto…ero bimba ma avevo acquisito una consapevolezza incredibile, di fronte all’ingiustizia dei tremendi abusi che erano stati commessi a danno di persone innocenti. Negli anni successivi mi sono anche dovuta difendere, perché sono cresciuta dalle monache e non è stato uno scherzo, per cui è scattata una ribellione in me e spesso sgarravo, scappando dal collegio anche intorno a 11-12 anni. Con una buona dose di trasgressione si impara a non subire troppo…Sicuramente il giudizio è con me ma in senso positivo, dato che ho a cuore le ingiustizie del mondo e cerco di fare qualcosa per le cause degli altri, anche se dovesse essere solo una goccia nel mare come si suol dire. Questa storia è mia, ma è anche di tutti perché’ ognuno può ritrovarcisi, e alla fine il mondo stesso è di tutti, perciò senza la condivisione a mio avviso niente può cambiare e soli chiusi in noi stessi non siamo niente. Poi aimè ci sono delle ingiustizie immani e su quelle non ci si può fare niente, per cui ben venga sospendere la rabbia e cercare delle ragioni alternative di vita; comunque di solito quando subisco personalmente un’ingiustizia cerco sempre di capire il perché, non traggo mai conclusioni affrettate…certo poi se arrivo alla conclusione che c’è dietro il male, ora che ho 62 anni riesco ad andare oltre e distaccarmene, perché abbiamo bisogno di cose belle e non di stare dietro a quelle negative!”
Stefania ci ha poi raccontato alcuni piacevoli aneddoti legati alla riconquista del rapporto con sua madre, che soprattutto con suo grande stupore, nonostante avesse già più di ottant’anni, ha iniziato ad utilizzare i social e in modo particolare Facebook, per pubblicare vecchie fotografie da condividere con le figlie e i nipoti, superando i rancori e donando loro il sapore di antichi preziosi ricordi.
L’autrice temeva una reazione non positiva da parte della madre di fronte alle schiette descrizioni racchiuse in queste pagine, o addirittura di poterla perdere definitivamente, mentre invece lei ha molto apprezzato, riconoscendolo anzi come un enorme gesto di amore, forse il più grande regalo che una figlia possa fare.
Non nego di essermi visibilmente commossa più volte durante la presentazione, e non soltanto perché conosco da anni Stefania, alcune sue dolorosissime vicende familiari e la sua sensibilità immensa, ma perché seppur non avendo ancora letto il libro – che nel frattempo ho poi iniziato – mi sono immedesimata attraverso le sue parole sincere nei meandri di una storia difficile, che ha potuto trovare un felice epilogo grazie al potere dell’amore e alla forza della verità, e che mi ha fatto poi riflettere sul mio personale rapporto con mia madre e sulla mancanza di dialogo che spesso c’è stata su molti argomenti, soprattutto nel periodo della mia adolescenza, proprio per paura del giudizio o di non essere compresa fino in fondo.
Attraverso le descrizioni di Stefania ho percepito un’intensità ed una veridicità di sentimenti che può essere d’esempio a molte altre persone, come se la scrittrice si fosse messa totalmente a nudo con le proprie ed altrui fragilità, allo scopo di ricucire uno strappo e ricostruire fino in fondo le proprie radici, chiudendo finalmente un cerchio esistenziale fatto di comprensione delle debolezze umane e di un perdono che è fondamentale per il raggiungimento dell’armonia e dell’equilibrio interiore. L’ho già ringraziata a voce per quanto ha saputo donare di sé stessa con animo nobile e coraggioso, ma lo faccio di nuovo pubblicamente in questa occasione, anche per la sentita dedica che mi ha scritto all’interno del libro. La ritengo una di quelle persone che rendono il mondo un posto migliore.
Stefania D’Echabur, giornalista pubblicista, è nata e vive a Livorno. Fin da giovane coltiva interessi di tipo culturale e sociale. Collabora con il mensile “Livorno Non Stop” e si impegna in progetti legati alla valorizzazione della città. Dall’incontro con Francesca Talozzi sono nati lavori e performance teatrali.
Dopo la pubblicazione di alcuni racconti, questo è il suo primo romanzo.