di Andrea Sardi
CAFE’ DOMINGUEZ – Amico, Amica mia, perdonami se vado dritto al punto e inizio questa chiacchierata con una storia, narrata dall’interpretazione di due ballerini, poi capirai perché. Te la introduco e taccio, per ora.
Si tratta di un tango di Eduardo Rovira (1925 – 1980) dedicato al poeta Evaristo Carriego, arrangiato e diretto da Osvaldo Pugliese, un tango privo di un testo poetico. Nella loro esecuzione i due ballerini scelgono di rivivere una storia d’amore, complessa, fatta di momenti di fuga e di inseguimento, di incertezza, di abbandono e passione. Certamente in milonga non si può tanto, ma al di là di ciò che si vede, ciò che appare allo sguardo degli altri, vi è soprattutto ciò che si sente e che nell’intimità dell’abbraccio si trasmette attraverso ogni fibra all’altro e dall’altro si riceve. Ti assicuro che rivivere nel ballo la storia raccontata da ogni tango, anziché limitarsi a pur spettacolari coreografie, fa una grande differenza.
Sì, perché “Il tango è una storia, ogni frase è un ricordo,ogni parte è una parte di vita con un dolore nascosto. E tutto il tango è la nostra esistenza. Emozione che grida, nella voce del bandoneon. Il tango è sempre una storia, che ha in tutte le sue pagine, le parole dettate dal cuore…” [El tango es una historia, Tango 1944, Música: Roberto Chanel, Letra: Reinaldo Yiso).
Alfredo Moffat (Buenos Aires, 12/1/1934) psicologo e saggista, fondatore della Scuola Argentina di Psicologia, osserva: “… se raccogliessimo tutti i tanghi in un unico ed enorme tango, li unissimo per temi, si potrebbe ottenere qualcosa come una Iliade della Periferia [Psicoterapia Del Oprimido, Alfredo Moffat, Sexta Edición Publicada Como “Socioterapia Para Sectores Marginados” Editorial Lumen, 1997].
La psicoterapia di Moffat, connessa alla filosofia esistenziale, vede l’identità determinata dalla relazione con coloro con cui condividiamo la nostra storia terrena. Il tango contestualizza ed esprime questa relazione e mentre lo fa definisce un sistema di valori, di credenze profondamente radicate, ed elabora, in un via vai tra sobborghi e centro cittadino, tra boliches scalcinati ed eleganti cabaret, café frequentati da artisti e altri luoghi più o meno raccomandabili, intensamente vissuti da persone d’ogni estrazione sociale, un linguaggio proprio, denso di simboli, che è anche linguaggio comune e quotidiano, condiviso. In questo modo genera e contribuisce alla crescita, in modo spontaneo, non solo di un movimento artistico, ma di una vera e propria cultura. Ed è proprio Moffat che ci da una prima chiave di lettura di questa espressione culturale. In ogni tango s’affacciano i personaggi del dramma interiore: il Soggetto (io che mi racconto), l’Oggetto perduto (un’illusione di amore, di giovinezza eterna, di fortuna), la Causa della perdita (il Fato) e l’Ascoltatore, voi, che raccogliete questa confessione, questo racconto. E’ per questo che ogni tango che io condivido è una mia confessione, una mia compartecipazione empatica con te, della storia che parla delle mie illusioni spezzate, le più grandi, credo, a causa della vita.
E tu, se rispondi empaticamente, pur in modo inconsapevole, entri in prima persona nel tango.
In questo tango vals (o vals criollo) il poeta si confessa al tango stesso. “Valzer sentimentale, ingenuo e ondeggiante, ricordo quei tempi perduti. Una voce lontana mi chiama, nel tuo canto, tenero Valzer!… e avvolge la mia emozione! … Amico Valzer, non vedi questa tenace incertezza che non fa altro che agitare la mia solitudine … occhi verde mare, più grandi della sua illusione, tanta voglia di amare… poi, una voce che piange…”. Qui l’interpretazione è di due ballerini russi ed una Orquesta Típica, Solo Tango Orquestra, anch’essa costituita da musicisti russi.
Ti sarà capitato almeno una volta nella vita di provare queste emozioni. Prova ora a rivivere quel momento, quella storia, e d’un tratto, ora, dopo tanta sofferenza, immagina di poter ritrovare e riabbracciare con gioia profonda e dolcezza quella persona. Se davvero senti tutto questo, allora decidi con chi vuoi ballare e balla! Trasmetterai e riceverai, se il partner è empatico, una incredibile trepidazione. Ecco perché io non riesco a ballare veramente con chiunque e qualunque tango.
Se non sai ballare, semplicemente prova a riguardare il video di prima e immedesimati in uno degli interpreti. L’altro sarà il tuo amore ritrovato. Cambia qualcosa, no, rispetto ad essere un passivo spettatore?
Vi è un altro autore, Carlos Mina, che in “Tango, la mezcla milagrosa: 1917-1956” [Ed. Sudamericana, 2007] evidenza come il tango abbia consentito di elaborare i molteplici aspetti connessi con il sogno migratorio (trovare benessere) ed il conseguente trauma (privazioni, disagi, ridimensionamento delle aspettative o loro totale delusione) vissuto da milioni di persone ben due volte agli inizi del novecento: esuli dall’Europa all’Argentina prima e poi, con la crisi del ’30, dalla campagne e dei centri periferici verso i sobborghi (il suburbio di cui parla Moffat) delle grandi città, prima tra tutte Buenos Aires. Come Ivonne, che “… oggi è solo Madame… vede ormai tutti i suoi sogni lontani, con occhi molto tristi beve il suo champagne. Non è più la bellezza del Quartiere Latino … Non le è rimasto più niente… Nemmeno quell’argentino, che tra tango e mate l’ha strappata a Parigi…” [Madame Ivonne, Tango 1933, Música: Eduardo Pereyra, Letra: Enrique Cadícamo]. Tango, quest’ultimo, che purtroppo rappresenta la storia di tante ragazze europee che furono letteralmente adescate da finti ricchi argentini e, giunte nella terra promessa, anziché trovare agio e ricchezza furono avviate alla prostituzione.
Anche senza migrazioni geografiche, sulle quali Mina basa la sua chiave di lettura, da punto di vista esistenziale ognuno ha, all’inizio del viaggio della vita, un’inconscia convinzione di immortalità e di molte possibilità: la vita appare lunga e promettente. La realtà, ahimè, è altro dal sogno e questo comporta dei traumi. L’eroe del Tango affronta il suo Viaggio Iniziatico, lottando contro il Destino in una battaglia che lo vedrà sconfitto, moderno Prometeo destinato al continuo supplizio, ma capace di aver donato al Mondo il fuoco della Verità su senso del vivere.
Nel tango vals che segue, il cantore si rivolge ad una colomba bianca e le chiede di portare un messaggio di amore e di conforto alla donna che ha dovuto lasciare. Già si vede nella narrazione della storia il passaggio dal piano contingente a quello esistenziale. Nel contingente “… niente mi conforta, mentre vado sempre oltre e mi vedo senza di lei. Il mio passo incede ed il mio cuore lo segue. Il viaggio che mi allontana così crudelmente, mi ruba le tue carezze d’amore, e solo nel pensiero ti vedo, ti ascolto incantato, ti bacio con passione, ti sento al mio fianco… Se vedi colei che adoro, senza dire che piango, dille com’è amaro vivere senza di lei, cos’è perdere il tuo amorevole calore…”. Poi, tocca il piano esistenziale, mentre si rivolge a tutti gli esuli ai quali si sente vicino “... ragazzi miei, siam nuvole travolte da un vento errante, e la nostra vita se ne va in un male d’assenza, sempre dando l’addio ai nostri affetti più cari…” [Palomita blanca, Vals, 1929, Música: Anselmo Aieta, Letra: Francisco García Jiménez].
Nella loro interpretazione, più che il dolore del distacco, gli interpreti hanno scelto la gioia del ritrovarsi, tanto più intensa nella sua manifestazione quanto più si è consapevoli del senso del vuoto, dell’assenza.
A chi mi rimprovera di essere la voce della tristezza del tango voglio rispondere questo, ancora una volta: è solo essendo consapevoli del senso del voto, dell’effimero, che si può vivere intensamente ciò che è, ciò che la vita, in un dato momento, ci dona. Ballando, possiamo scegliere di vivere il prima o il dopo, il vuoto o il ritrovarsi. O entrambi, come Carlos Gavito e Marcela Durán in Evaristo Carriego, il video che ti ho proposto all’inizio.
Il richiamo al male di vivere, frequente nel tango, anticipa di molto i componimenti di Montale (inevitabile riferimento), e di altri artisti a livello mondiale, affrontando gli aspetti esistenziali con un linguaggio concreto, laddove l’oggetto-simbolo permette la creazione di una lingua universale a sostegno di un messaggio altrettanto universale (come in Montale).
Parlando da artista, credo che il tango possa evolvere, continuamente, se non ci si fa travolgere dalla dimensione folklorica in cui lo relegava Moffat, che pure ne ha colto la forte connotazione teatrale, né da una limitante lettura storico sociale come Carlos Mina, che pure mette in evidenza i principali capitoli (temi fondamentali) del mito.
La connotazione teatrale viene ripresa da Horacio Ferrer (Montevideo, 6/2/1933 – Buenos Aires, 21/12/2014) in tutte le sue opere. A parer mio il più grande merito di Ferrer è quello d’aver umanizzato il divino: quel Dio indifferente quasi sinonimo di Fato del tango anni 30-50, o completamente assente nel tango anni 60-70, non è più lontano dalle vicende umane, ma ne è intimamente coinvolto. C’è chi chiama Ferrer il poeta della redenzione. Per me è ancor più il poeta della rinascita del divino che è in ognuno di noi e della nostra resurrezione continua, un una esistenza che si snoda senza più fratture e sempre in mutamento, tra terreno e ultraterreno.
Nel tango polca che segue Ferrer racconta, con il suo linguaggio onirico, della venuta di Cristo _ nel testo rappresentato come un vecchio ragazzo (unità di Padre e Figlio) che pedala su una bicicletta bianca, trascinando un carretto con tre pani e tre pesci e compiendo miracoli _ e del suo martirio.
Ed è proprio lui, Ferrer, l’uomo, che cerca di consolare quel povero Cristo, quasi Paternamente, per ciò che gli ha inflitto la crudeltà umana “… vecchio Ragazzo Nostro che sei sulla Terra, come hai fatto a dimenticare che non siamo angeli ma uomini e donne? Ragazzo, non rimanere triste, non è stato tutto inutile, non perdere la fede… su una cometa a pedali _ Conceditelo! _ so che devi tornare…” [La bicicleta blanca, Polca/Tango, Música: Astor Piazzolla, Letra: Horacio Ferrer].
La massima espressione della umanizzazione del divino (o divinizzazione dell’Uomo) e della possibilità di redenzione, già in questa vita, la trovi nell’unica opera tango per ora composta: Maria de Buenos Aires [Opera Tango, 1968, Musica: Astor Piazzolla; libretto: Horacio Ferrer]. Devo ammettere che il libretto è di complessa lettura anche nella versione italiana.
Ti saluto con le parole di Horacio Ferrer a proposito del rapporto tra poesia, musica e ballo.
“La poesia è musica che parla, un insieme di suoni che arrivano e si trasformano in parole, la danza è il corpo stregato dalla musica… Nel tango sono due realtà che convivono perfettamente, mosse dall’estetica e dal cuore“ e ancora “il tango è anzitutto un modo di vivere, di sentire e di muoversi”.
Buon tango!