Intervista alla fotoreporter Ines Della Valle

Immagine di copertina “Ponte di Abasseya – Cairo. Scontri con la polizia durante la seconda fase della Rivoluzione.” – Ines Della Valle-

di Elisa Heusch

QUARTO OCCHIO – Incomincia il terzo anno di vita de La Redazione Online e, visto che il tema che abbiamo posto al centro per questo mese è l’identità – quella che ognuno di noi si costruisce strada facendo avanzando nella propria esistenza – ho deciso di condividere con voi l’esempio di Ines Della Valle, fotoreporter livornese (classe 1981) dall’esperienza ormai ventennale, che vanta una serie di importanti lavori svolti all’estero, e che ho avuto il piacere di intervistare pochi giorni fa.

E: “Ines, tu che hai avuto un grande coraggio nel costruire la tua identità di persona e di fotografa, ci vuoi raccontare come il tutto ha avuto inizio e, soprattutto, quando hai sentito per la prima volta quella spinta interiore che ti ha portata a intraprendere questa tua strada?

I: “La prima volta che ho pensato che volevo fare questo lavoro, me lo ricorderò per sempre, ero all’università – frequentavo Media e giornalismo a Firenze – e venne il fotografo Pino Bertelli a farci lezione di fotogiornalismo…vidi le sue foto e rimasi folgorata. Tornai a casa e mi ricordo che dissi al mio fidanzato dell’epoca che avrei voluto fare la fotoreporter e girare il mondo facendo fotografie! Sono rimasta totalmente estasiata, sia dai suoi ritratti che da lui come persona, tant’è vero che poi è diventato sia il mio mentore che anche un amico. Il mio fidanzato capì che stavo facendo sul serio, e infatti un po’ di tempo dopo è stato così e sono partita veramente. Mi sono infilata in testa quella convinzione e non me la sono più tolta, anche se a momenti mi sono ritrovata a pensare che fosse troppo dura e che sarei stata sul punto di smettere…poi però non ho mai mollato perché ormai questo fa parte di me, lo respiro!

Ho iniziato poi a fare tutto il mio percorso di gavette varie, a partire appunto dai 20 anni, finendo poi a Roma, dove ho frequentato la Scuola Romana di Fotografia e Cinema, specializzandomi in reportage.

Il mio incontro con il mercato fotografico italiano è stato però molto contrastato fin dall’inizio, perché l’atteggiamento italiano è stato parecchio scoraggiante e frenante, senza quella spinta positiva che dia valore alle capacità di ognuno, come avviene invece in altri paesi tra cui ad esempio in nord America oppure in Inghilterra. Questo fu pesante all’inizio, e ad esempio ricordo anche una lettura portfolio nella quale venni soltanto criticata e non spronata a migliorare o correggere i miei errori.

Tutto questo ha portato al giorno in cui ho deciso di mollare tutto e partire dall’Italia.

Andai a Perpignan al Festival di fotogiornalismo, dove conobbi un sacco di fotografi internazionali, e contatti molto interessanti, capendo anche come fosse l’ambiente; là conobbi anche un ragazzo con cui feci amicizia, che mi chiese di partire insieme a lui per il Sud Sudan, dove in quel momento c’era il referendum per l’indipendenza ed era prevista molta agitazione…ed io decisi di accettare! Ho seguito l’impulso del momento, non è stata una decisione ben ponderata o conscia, mi sono lanciata senza essere mai stata in quei paesi prima di quel momento. In quel periodo stavo facendo diversi lavori provvisori e poco ‘sentiti’, come ad esempio la barista o la promoter, e durante il weekend facevo la fotografa in un’agenzia di casting, facendo book per gli aspiranti attori. Ero ben retribuita ma passavo le giornate chiusa in questi studi a fotografare coloro che volevano magari arrivare ai programmi televisivi, capendo sempre di più che non era certo quella la mia massima aspirazione! Fu quindi il momento di cogliere al volo quell’occasione di viaggio, anche soprattutto grazie ad un mio amico che mi ha prestato il denaro necessario che in quel momento non avevo. Sentivo di non avere più scuse. Il 1’ gennaio del 2011 sono partita per il Sud Sudan ed è dove tutto ha avuto inizio!”

E: “Quanto sei rimasta laggiù?

I: “Sono rimasta tre mesi tra Sud Sudan, Uganda, Congo e Repubblica Centrafricana, vicino al confine; la guerra poi non è scoppiata e la situazione è rimasta più calma di quanto avessimo previsto inizialmente, con il controllo da parte dei Caschi Blu e senza il delirio che ci aspettavamo.

Nel frattempo è scoppiata invece la rivoluzione in Egitto, tutti i giornalisti si sono quindi spostati là, e io sono rimasta da sola senza nemmeno capire bene cosa dovessi fare; ho cominciato a girare per conto mio, trovando per esempio il contatto di una suora, la quale mi dette a sua volta i contatti delle milizie che stavano ai confini dei villaggi fra Repubblica Centrafricana, Congo e Sud Sudan, per proteggere i loro cari dagli attacchi dei Lord’s Resistance Army, un gruppo ribelle di guerriglia di matrice cristiana, che ancora all’inizio degli anni 2000 erano ancora attivi. Questa storia, “Arrow Boys”, è presente sul mio sito ed è stata pubblicata – 4 anni dopo – sulla rivista Rollingstone.”

“Ho esplorato il territorio, in maniera a volte anche sconsiderata, perché per esempio per andare a fotografare per questa storia sono salita su una motocicletta insieme a tre ragazzi di colore che erano grandi e grossi tre volte me, e mi hanno proposto di portarmi da questi ‘Arrow boys’ in mezzo alla foresta…io mi sono fidata, però un po’ di paura l’ho avuta perché non era scontato che ne uscissi illesa!

Yambio, 1 febbraio 2011 – Arrow Boys: Gabriel Friberto, 56 anni sposato con 6 figli, di Yambio- Ines Della Valle

Mi sono sempre basata molto sull’intuito, sull’impulso e l’avventura, con poca pianificazione.

Ho imparato dopo, a mie spese, a dover pianificare per non essere sprovveduta, e adesso a differenza di prima voglio avere un riscontro anche di tipo economico, essendo vent’anni che faccio queste cose.”

E: “E poi ti sei spostata in Egitto successivamente?!

I: “Si, questa cosa dell’Egitto mi è rimasta sempre in testa chiamandomi…

Sono prima andata però in Uganda, dove sono rimasta per un po’; c’erano le elezioni presidenziali e mi sono occupata di quelle, per un mesetto sono rimasta in un ostello, conoscendo una serie di personaggi.

Lì è anche nato il mio lavoro sulle bidonville di Kampala – il lavoro “This is Uganda!” sul mio sito – ma soprattutto è lì che conobbi due ragazzi egiziani che cominciarono a raccontarmi le loro vicende in cui erano in piazza con lo scoppio della rivoluzione etc. Sono rimasta estasiata dai loro racconti e quella è stata la molla definitiva, l’impulso verso l’Egitto, dove non ero mai stata prima. In Italia sentivo che non ci volevo stare, e che la mia strada non sarebbe stata stare qui.”

E: “Non avevi nessuna intenzione di tornare qua?

I: “No, mi sarei sentita fuori posto, anche se devo dire che gli anni di Roma sono stati comunque per me anni molto felici, nei quali mi sono divertita molto e sono ‘sbocciata’, capendo che la mia identità era differente da quella che avevano cercato di farmi credere fino a quel momento…e che avrei dovuto andare a fondo e capire veramente quale fosse. In realtà non sono stata io che ho cercato la mia identità ma è stata lei che ha iniziato come a pigiare da dentro il mio stomaco, fino a che non sono riuscita a farla uscire fuori! E sto iniziando adesso a vederla, era proprio la mia stessa identità che mi stava parlando!

Quindi sono tornata in Italia, ho lasciato la mia casa a Roma e mi ricorderò sempre il trasloco con la mia amica Raffaella, anche lei livornese e trasferitasi a Roma in un’altra casa, perché entrambe partimmo con la nostra macchina carica di roba; trascorsi un’estate delirante a Livorno, andai successivamente a Londra dal mio amico a prendere i contatti con i photo editors, perché ormai avevo capito meglio come mi dovevo muovere, e poi finalmente il 7 novembre 2011 sono riuscita a partire per l’Egitto!”

Kamituga mining site – Women walk back home at the end of their working day. Kasomba women can carry over 25kg of stones on their backs. The stones get pounded until they are reduced to a fine powder from which gold is extracted.

E: “E da lì cosa è successo?

I: “Sono arrivata a Il Cairo, dopo pochi giorni è scoppiata la seconda fase della rivoluzione e io mi sono ritrovata piazzata lì in mezzo nel casino più totale…quello è stato un periodo devo dire bellissimo.

Un periodo stupendo e indimenticabile della mia vita.”

E: “Quali sono le esperienze alle quali ti senti più legata e perché?

I: “La rivoluzione egiziana, senza dubbio. Quando io decisi di fare questo lavoro volevo fare la fotografa di guerra, e il motivo che mi davo al tempo era che volevo vedere le schifezze del mondo, che volevo andare a ‘ravanare nella spazzatura dell’umanità’; in verità anche adesso ho questa tendenza ad essere attratta dal ‘dark’, per così dire da quella sorta di oscurità presente nel mondo, e che sicuramente rappresenta anche un’attrazione verso la mia di oscurità! In realtà ti devo dire che non ho mai visto un conflitto, l’unico momento di delirio è stato quello della rivoluzione, e poi sono andata ad affrontare proprio la mia di oscurità, grazie ad una serie di eventi e situazioni particolari, tra cui lo shamanesimo. Come se fosse esploso un primo livello, che poi ha portato ad un percorso su me stessa che è ancora in corso quotidianamente.”

E: “Ci sei rimasta molti anni, giusto?

I: “Sono rimasta quasi 9 anni, anche se nel frattempo d’estate viaggiavo e mi spostavo sempre in altre parti del mondo per qualche mese: a Bali, in Libano, in Albania, all’ultimo in India.

Ho avuto una vita finora bella e avventurosa, dando adito ai miei istinti di venire fuori, senza blocchi o paletti, e che mi hanno portata alle consapevolezze di oggi.”

“Terra Sacra – lavoro a lungo termine sull’eredità spirituale dell’Antico Egitto. Statua di Cleopatra nella spiaggia dove lei usava farsi il bagno, nella città di Marsa Matruh.”

E: “C’è invece un’esperienza che non rifaresti, guardandoti indietro?

I: “Si, ad esempio l’esperienza fatta in Albania, perché mi sono associata con le persone sbagliate, che in una fase un po’ più complessa della mia vita – in cui mancavo di ispirazione – non mi hanno fatto bene.

Ero abbastanza ferma, mi sono unita a loro più per disperazione che per reale convinzione, e ho scoperto che non erano nelle mie corde, per cui è stato un viaggio fallito. Fallito nel senso che con le foto non ci ho fatto niente, non ho ricavato nulla di buono da quel lavoro se non una grande dose di stress! Un’esperienza che comunque mi ha insegnato qualcosa: mai associarsi con qualcuno a lavorare solo perché ci si sente disperati, ma perché lo si sente davvero fino in fondo! Dobbiamo ascoltare sempre il più possibile il nostro mondo interiore e cercare una vicinanza e comunione di valori con chi ci sta intorno, questo è fondamentale in tutti gli ambiti.

E poi non rifarei lo sbaglio di credere che il mio lavoro non valesse abbastanza, in questo meccanismo tutto italiano veramente brutto e che spesso porta ad accettare situazioni dal punto di vista lavorativo che buttano giù anziché valorizzare. Non accetterei più certi tipi di situazioni, perché ora so di valere qualcosa… e quindi è questo che direi a quella bimba che ero, o anche a chi voglia intraprendere un percorso simile al mio: “Sei un gioiello da scoprire, non ascoltare le frustrazioni degli altri, ma vai avanti capendo il tuo valore.

Non prendere sempre per buono tutto quello che ti dicono, cerca dentro le risposte e metti le cose in discussione, anche quelle che vengono dette da chi è più adulto o dalla società!”

E: “Probabilmente quindi ripartirai a breve?

I: “Devo riflettere un attimo. Mi è stato chiesto di partire per l’Ucraina, dove sappiamo ciò che di drammatico sta accadendo al momento, ma devo ponderare meglio di quanto avrei fatto in passato se avessi dato retta solo al mio istinto o alla mia voglia. Sento di sicuro il richiamo vero quella che ormai chiamo “CASA MIA”, e cioè Il Cairo, dove credo che tornerò il prossimo autunno. È il luogo dove sono stata completamente me stessa e dove riesco ad esprimermi al meglio.”

Ho ringraziato di cuore Ines per essersi raccontata a me, e di conseguenza a tutti voi, e le ho fatto il mio in bocca al lupo per qualunque sua esperienza futura.

Di certo, nell’imminente, un’esperienza che concluderemo insieme in queste settimane è quella del corso di reportage, che sto frequentando con il suo insegnamento insieme ad altri quattro ragazzi, grazie a Percorsi Fotografici di Michel Guillet; un qualcosa che sento che mi sta arricchendo molto, non solo dal punto di vista di quelle che saranno le fotografie del lavoro che svilupperò prossimamente, ma anche a livello personale ed emotivo.

Potete visualizzare una serie di suoi lavori principali sul suo sito http://www.inesdellavalle.com

Tutte le immagini allegate sono coperte da copyright ed è vietato l’utilizzo e la riproduzione delle stesse senza l’autorizzazione dell’autrice.

– Corpo di un uomo deceduto durante il massacro di Rabaa. Nell’agosto del 2013 l’esercito egiziano con Sisi a capo ha attaccato un sit in di Fratelli Musulmani che erano da settimane in protesta per il copo di stato che ha rovesciato il presidente eletto Morsi.
Palani, Tamil Nadu. May 2019. A girl is undertaking the shaving ritual in the tonsure shed beside Idumban temple. Palani, Tamil Nadu. May 2019. Una bambina viene rasata nella sala di tonsura accanto al tempio di Idumban.

BIO:

Ines Della Valle è una giornalista freelance e fotoreporter italiana che incentra il proprio lavoro soprattutto nell’ambito del sociale e dei diritti umani, ai quali si approccia attraverso un’attitudine empatica e intimo-spirituale.

È anche una corrispondente Tv con numerose esperienze nella produzione di reportage a lungo termine.

Fotoreporter Ines Della Valle

La sua base attuale è nella citta del Cairo.

Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati su riviste internazionali come Vogue, Rolling Stone Magazine, Marie Claire, l’Unità e molti altri.

Condividere è conoscere!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *