di Andrea Sardi
CAFE’ DOMIGUEZ – Lo confesso: quando Paolo mi disse che questa parola esprimeva il tema del mese, un sorriso amaro sgorgò sul mio volto che tante burrasche han segnato di rughe; burrasche quasi sempre vissute in navigazione solitaria. Stavo per rispondergli, con lieve ironia: “Cosa significa?”. Ma questa ironia lui non la merita, così come non la meritano gli altri ragazzi della redazione.
E così, amica, amico mio, parlerò di qualcosa che di rado ho trovato e che sempre più raramente s’incontra. Purtroppo ancor meno in un momento confuso, dove proprio chi dovrebbe promuovere concordia e solidarietà alimenta contrapposizione e finanche odio.
Solidarietà. L’amarezza legata al mio vissuto ha portato al cuore le parole di un tango: “Sono stato in grado di darmi completamente ed è per questo/ che mi ritrovo fatto a pezzi,/ mi ritrovo abbandonato./ Perché mi sono dato, senza guardare a chi mi davo,/ e oggi ho in premio/ il dovermi inginocchiare./ Inginocchiarmi davanti all’altare della menzogna,/ davanti a tanti forzieri ben chiusi/ che sono chiamati cuore;/ e confrontarmi/ con tanta ipocrisia,/ per il pane quotidiano, per avere un posto…” [“Golgota”, Tango, 1938, Musica: Rodolfo Biagi, testo: Francisco Gorrindo].
L’interpretazione, nel video che segue, sfugge a delle parole così dolenti e s’abbandona al gioco musicale, complici sia la non conoscenza da parte del pubblico dello spagnolo, e quindi del testo, sia la necessità di soddisfare le esigenze scenografiche (si tratta pur sempre di una esibizione).
Si allontana così da quell’abbraccio intenso, sobrio e accogliente, tipico del tango, che pare dire: “Qualunque cosa sia accaduta, qui trovi conforto e comprensione”.
Sai, le più belle parole che mi sono state dette da una ballerina dopo aver condiviso una tanda (la successione di quattro tanghi che si usa ballare insieme) sono state: “Hai un abbraccio accogliente e rispettoso. Mi sono sentita a casa. Grazie”.
E’ il tango stesso che ti invita e t’accoglie: “Siediti, fratello, lascia cadere quel fardello di aspre pene e fatti valere, che l’uomo che soffre, se si è smarrito, qualunque sia la ragione, deve restare un Uomo. Siediti fratello che i dolori uccidono e una sorte avversa può anche perderti…”. [“Sientese, che hermano”, Tango, testo e musica di Julio Guillán Barragán]. Parole che invitano a restare, in questo abbraccio comprensivo e incitano a non lasciarsi andare, a riprendere la propria strada, qualunque cosa sia accaduta. Parole di comprensione e solidarietà.
In questa società vi sono molte persone che si imbellettano con questa parola, che ostentano il loro “essere solidali”, che amano anche proporsi alle telecamere o ai giornalisti per esibire questa loro magnanimità. Sai, a volte mi chiedo dove siano state e dove siano tutte queste persone quando ho provato ed ancora ora provo, spesso, persino in una città che si definisce aperta e solidale, un senso di profonda solitudine. Altre volte mi dico che amo così tanto il tango perché prima ancora di imparare a ballarlo, di scoprire la bellezza delle sue parole, l’ho inconsapevolmente vissuto.
Una sera stavo andando a far leggere un mio testo ad un argentino, un uomo che ha una profonda conoscenza del tango, in tutte le sue sfaccettature. Ero a Milano, era pieno inverno e stavo camminando lungo i Navigli verso la milonga dove quella persona avrebbe musicalizzato. Una nebbiolina pungente si levava dall’acqua ed appannava la luce dei lampioni, sfumava le case e le poche persone in giro, ed io mi chiesi come potessi io, un italiano, proporre un mio lavoro, un testo teatrale che vibrava di tango, ad un argentino. Poi mi dissi: “Ho vagato per troppe città, non ho più radici, ho perso anche gli affetti più cari, perso molti sogni, speranze e mi sento esule in un mondo sempre più a me estraneo. Forse il Destino mi ha reso più argentino degli argentini”. Sere dopo, quando gli chiesi cosa pensasse del mio testo, mi rispose sorpreso: “E’ un tango!”.
L’uomo è consolato dal tango ma, con vera solidarietà, anche l’uomo consola il tango: “Fratello Tango, ho saputo/ che sei triste e lo capisco… le musiche importate hanno ucciso il tuo ritmo … ecco perché stasera sono venuto a trovarti/ per stare dalla tua parte/ e non importa chi dovrò fronteggiare/ e dirti, fratello tango/ sii coraggioso, non mollare!/ … Con una chitarra/ o un bandoneon,/ canta, fratello tango,/ canta la tua canzone;/ e con la tristezza/ che ti dà la vita/ guarirai la ferita/ dal tuo cuore./ Canta, fratello tango,/ canta la tua canzone!/ Senza di te, Buenos Aires/ non ha emozione!” [“Para vos hermano tango”, Tango, musica: Edmundo Rivero, testo: Mario Battistella]
La solidarietà, per il tango, la si vive nell’amicizia, vera e propria fratellanza celebrata in molti testi e composizioni musicali, come questa che segue, solo strumentale [“A los Amigos”, Tango, musica di Armando Pontier]. Ma proprio perché la figura dell’Amico è, con quella della Madre, l’unico riferimento affettivo sicuro (o quasi) nel tango, chiederò alla Redazione di dedicare all’amicizia uno spazio tutto suo.
Buon tango, Amica, Amico mio.